Servirà una autorizzazione del Comune e non più una semplice segnalazione

Martedì 14 Marzo 2017
Servirà una autorizzazione del Comune e non più una semplice segnalazione
Venezia vuole dire basta all'invasione delle attività che vendono cibo da asporto. Non solo kebab e pizze al taglio, ma tutti quei punti vendita che stanno proliferando a macchia di leopardo nelle zone più percorse dai turisti e che sono ritenute responsabili delle tonnellate di rifiuti (gli involucri) che costringono i residenti a pagare il conto dei rifiuti anche per conto dei 25 milioni di turisti annui.
Si tratta di una delle misure invocate dal sindaco Luigi Brugnaro nel corso dei suoi incontri quasi settimanali con esponenti del Governo e che ora sono rese possibili dal Decreto legislativo 222 del 2016, emanato proprio in seguito ad un incontro tra il ministro Carlo Calenda e Brugnaro. Questa norma prevede la possibilità per i Comuni di vietare o assoggettare ad autorizzazione (invece della semplice Scia, segnalazione certificata di inizio attività) alcune tipologie di attività dopo aver individuato zone della città aventi particolare valore storico, artistico e paesaggistico. In pratica, il potere di vietare kebab, pizze, gelaterie, pasta take away, patatinerie, paninoteche su tutta la città (comprese le isole di Murano e Burano), d'intesa con la Regione e sentita la Soprintendenza.
È proprio questa norma a dare al Comune quella forza che Firenze all'inizio dello scorso anno non aveva, quando aveva deciso di vietare (con l'approvazione del Regolamento Unesco) tutte le nuove attività alimentari di bassa qualità. E si era trovata sommersa dai ricorsi.
La guerra al proliferare dei take-away, che non sono solo esotici, visto che le pizze al taglio sono di gran lunga prevalenti (a Venezia ce ne sono 53, più 20 misti pizza-kebab), nasce a Venezia nel 2009 quando l'allora sindaco Massimo Cacciari fece approvare una delibera di giunta in cui si decise una moratoria di due anni all'apertura di nuove attività. Ma allora i Comuni facevano ciò che potevano, visto che i decreti Bersani non avevano posto alcun limite alle liberalizzazioni derivanti dalle direttive europee. Ora invece è possibile. Lo strumento, invece della delibera adottata dalla Giunta, è quella della mozione consiliare, che punta a raccogliere il massimo consenso per dare più forza al sindaco in questa battaglia.
«Cominciamo dai take away - spiega il presidente della commissione Attività produttive, Paolo Pellegrini - e dalle nuove aperture, poi vedremo come va. Queste sono la risposta, sul piano dell'offerta, ad un turismo mordi e fuggi di bassa qualità. In questo modo, oltre a sminuire il decoro urbano e la salvaguardia delle tradizioni, si aumenta a dismisura la quantità di rifiuti prodotti e i costi per il loro smaltimento, i quali ricadono sui cittadini di Venezia e della terraferma. Secondo me - continua - c'è la possibilità di limitare anche le attività già aperte. La battaglia per il decoro è appena cominciata».
Non è detto infatti che saranno assoggettati a limitazioni solo le attività di vendita alimentari. Il decreto Unesco, come è stato ribattezzato, offre altre possibilità a chi avrà l'ardire di tentare l'impresa.
«Se il discorso funziona - conclude Pellegrini - potremo dedicarci anche ai negozi di paccottiglia da turisti, ai negozi di maschere, che non è necessario siano così diffusi come lo sono oggi. È anche una risposta che vogliamo dare all'Unesco in merito al degrado del tessuto commerciale cittadino. Ci aspettiamo per questo una buona risposta dalla Regione, con cui dovremo sottoscrivere un protocollo d'intesa».
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