Il vescovo di Ascoli dice di aver pregato molto: «Ho chiesto a Dio: e ora che

Domenica 28 Agosto 2016
Il vescovo di Ascoli dice di aver pregato molto: «Ho chiesto a Dio: e ora che si fa?». Per ora si piange, si accarezzano le foto dei figli morti, ci si asciugano reciprocamente le lacrime, si aggiustano i fiori sulla bara, ci si abbraccia, per lo più si sta zitti. Al resto si penserà da domani. Oggi è ancora il giorno del dolore, e tutto il dolore è qui, in una palestra di periferia dove trentacinque bare allineate davanti a un altare improvvisato restituiscono – ma solo un po' - le dimensioni della catastrofe.
UN GRAZIE PRIMA DI MORIRE - Erano 49 le vittime del terremoto di Arquata e Pescara del Tronto, i due paesi della Provincia di Ascoli massacrati dal sisma. Durante i funerali di Stato diventano 50. Arriva la notizia che Nicola, romano, 77 anni, è morto in mattinata all'ospedale di Perugia dove era ricoverato da mercoledì. Lo avevano tirato fuori dalle macerie della sua casa di Arquata e lui, con un filo di voce, aveva ringraziato i vigili del fuoco che lo avevano salvato. Poi aveva chiuso gli occhi, esausto, ed era entrato in coma.
LE DUE CASSE BIANCHE - I feretri nella palestra sono soltanto 35 perché per altri 14 i funerali sono stati celebrati altrove. Al centro, spiccano due casse bianche: Marisol aveva 18 mesi e ora il padre, ferito e tumefatto, sta sulla carrozzina a capo chino, vicino a lei; Giulia aveva 9 anni, e un soccorritore che aveva provato a salvarla ha messo un biglietto sulla sua bara: «Scusa se siamo arrivati tardi». In realtà i soccorsi a Pescara del Tronto sono arrivati subito, ma quel biglietto racconta l'impotenza delle buone intenzioni davanti al destino avverso.
I BOY SCOUT - Dietro le bare ci sono le sedie per «le istituzioni». Il presidente Mattarella, i presidenti di Camera e Senato, Matteo Renzi e la moglie che non riesce a trattenere le lacrime. È, strano a dirsi, una presenza discreta, sommessa, senza il chiasso delle sirene che annunciano «l'arrivo delle autorità», senza le consuete esibizioni muscolari delle scorte. Il servizio d'ordine è affidato ai boy scout che invece di impartire ordini perentori distribuiscono bottiglie d'acqua per alleviare il caldo e l'odore acuto della morte che ristagna sulla palestra.
LA FORZA DELLE ORIGINI - Guardando le bare, osservando i parenti che si salutano, si stringono, che bisbigliano fra loro parole di conforto si capisce ancora meglio cos'erano, prima del sisma, Arquata e Pescara del Tronto. Erano due luoghi dove tutti si conoscevano e si davano una mano come accade nei piccoli paesi, in quelle province italiche che al momento buono sono capaci, malgrado la fatica, di far prevalere il senso di solidarietà sugli egoismi, sui rancori, le invidie. Dove tutti hanno un nome e un cognome e nessuno è soltanto un numero in un lungo elenco di vittime. Ecco perché molti che erano andati a vivere a Roma o in qualche altra grande città ci tornavano appena potevano. E altri addirittura c'erano tornati per sempre. Il vescovo, Giovanni D'Ercole, lo dice così: «La solidarietà e la responsabilità ci fanno tenere i piedi ben saldi per terra in un abbraccio che ci consente di affrontare insieme le difficoltà e costruire un mondo migliore». Ed è, forse, una risposta alla domanda che lo stesso vescovo dice di avere ripetutamente rivolto a dio: «E ora che si fa?».
IL GAGLIARDETTO JUVENTINO - Quando ci sono catastrofi come quella della notte di San Bartolomeo è difficile resistere alla tentazione di ridurre tutto alla conta dei danni e dei morti. Come fosse solo un problema di quantità. E invece qui, adesso, mentre a messa conclusa il vescovo asperge ogni singola bara di acqua e di incenso, diventa insopprimibile la voglia di conoscere le biografie, le piccole e grandi storie di quei trentacinque uomini, donne, figli, madri, padri che sono stati importanti e fondamentali per coloro che ora li piangono.
Le loro speranze, le loro fatiche, le delusioni e le gioie. Le loro passioni testimoniate dai gesti chi li ha amati ed è stato amato da loro, come fanno i parenti di Giulio Celani che hanno messo il gagliardetto della Juventus sulla sua bara. O come ha fatto una ragazza che ha posato un biglietto sulle foto di Lucrezia Rendina e di sua madre Piera: «Erano forti e coraggiose, hanno lasciato un pezzettino di loro in chiunque le abbia conosciute». Abitavano a Milano, la figlia studentessa in un liceo scientifico, la madre insegnante di sostegno all'Artistico. Ogni anno, quando l'estate iniziava a declinare, tornavano per qualche giorno a Pescara del Tronto, il paese dei genitori di Piera: «Era l'ultima cosa che facevano prima di tornare alle fatiche della città». Anche Fernando Masciarelli prima di rientrare a Roma dopo le vacanze pretendeva di respirare l'aria della sua terra, ad Arquata. La moglie, coi lividi sul volto, accarezza dolcemente la bara: «Mi hanno tirata fuori dopo cinque ore, viva. Lui era già morto». Un amore lungo una vita spezzato senza il tempo di dirsi addio.
LA TELEFONATA DI VIOLETA - Ecco, i funerali di Stato sono terminati, Sergio Mattarella e Matteo Renzi si avvicinano alle bare, parlano con ciascuno dei parenti dei morti. Anche loro si fanno raccontare aneddoti, circostanze, storie. Come quella di Violeta, arrivata dalla Romania per fare la badante a una anziana e che il giorno prima della scossa aveva telefonato ai parenti: «Sono in un posto bellissimo». E come quella di Milvina Baroni, la cui casa è stata risparmiata dalla prima scossa, quella delle 3.36. Era a letto, inferma, terrorizzata, e aveva chiamato il nipote a Roma: «Cosa mi consigli di fare? Ho paura a scendere le scale, è pericoloso». Aveva deciso di restare, di affidarsi alla speranza. Alle 4 è arrivata la seconda scossa, e la sua casa è venuta giù.
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