Porte aperte ai migranti? Una dichiarazione di resa

Venerdì 3 Giugno 2016
Caro direttore,
com'è che quando un altro Stato si permette di ingerirsi negli affari interni italiani, giustamente si becca le proteste dei nostri governanti, mentre nessuna rimostranza si leva invece a fronte delle continue ingerenze dei maggiorenti dello Stato Città del Vaticano?
Massimo rispetto ovviamente quando trattano di temi religiosi, ma qualcuno dovrebbe far presente “oltre Tevere” che uscite come quella del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, sono fuori luogo, in quanto non spetta certo ai porporati dare la linea al nostro Paese in materia di immigrazione. E a mio avviso su nessun'altra problematica.
Sul tema, sorge poi il dubbio che nei seminari non insegnino in modo appropriato la geografia; diversamente monsignor Galantino dovrebbe sapere che il suo ”accogliamoli tutti” cozza, oltre che con il buonsenso, con le leggi della fisica, in quanto l'Africa è cento volte più grande dell'Italia, ed ha circa 1,1 miliardi di abitanti. Visto che gli altri europei non li vogliono, dove li mettiamo, monsignore?
Umberto Baldo

Abano Terme

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Caro lettore,
su grandi questioni etiche ed umanitarie non si può impedire alla Chiesa di far sentire la propria voce. Né è giusto pretendere di limitarne la libertà di parola. Il problema è un altro: la grande questione dell'immigrazione non si può affrontare, né parlando solo alla "pancia" dei cittadini, ma neppure, come pensa la Chiesa, facendo appello al "cuore". Servono invece regole e scelte politiche. Le prime, purtroppo, quando ci sono, vengono spesso ignorate o aggirate. Le seconde sono inesistenti e inadeguate, ad ogni livello, nazionale ed europeo. La politica delle porte aperte, auspicata da monsignor Galantino, oltre ad essere improponibile sul piano economico e sociale, in realtà, non è una politica, ma una dimostrazione di impotenza e, insieme, una dichiarazione di resa. A cui nessun Paese civile dovrebbe rassegnarsi.

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