Le lacrime di Bossetti: «Dovevano credermi»

Mercoledì 19 Luglio 2017
Le lacrime di Bossetti: «Dovevano credermi»
Se dopo la sentenza di primo grado era arrabbiato, ora Massimo Bossetti è distrutto. Della conferma dell'ergastolo in appello non si capacita: «Perché non mi hanno creduto?», ripete tra le lacrime alla madre e alla sorella che lo abbracciano prima di tornare in carcere. Fine pena mai per il carpentiere di Mapello, accusato di avere seviziato e ucciso Yara Gambirasio la sera del 26 novembre 2010. La notizia è arrivata nel cuore della notte a casa Gambirasio con un messaggio del loro avvocato: «Abbiamo accolto la sentenza con la serenità di sempre», dicono mamma Maura e papà Fulvio. «Molto addolorati» per le immagini del corpo della figlia uccisa pubblicate su un blog.
Ester Arzuffi, invece, era seduta tra il pubblico alla lettura del verdetto. «Ho provato un grandissimo dolore nel vedere mio figlio piangere», si sfoga. «Perché non vogliono rifare quel dna? Potrebbe far superare molti dubbi», continua a chiedersi la madre del muratore. Il codice genetico trovato sugli slip e sui leggings di Yara, appunto. Catalogato come Ignoto 1, per l'accusa appartiene inequivocabilmente a Massimo Bossetti. È quella che la pm dell'inchiesta, Letizia Ruggeri, ha definito la pistola fumante ed è stata la vera criticità della camera di consiglio fiume di lunedì, quindici ore filate. Stando a quanto trapela, due dei sei giudici popolari erano propensi a concedere la nuova perizia del dna invocata dallo stesso Bossetti per superare le 261 incongruenze emerse, secondo la difesa, dalle analisi del effettuate dal Ris di Parma. «In questi casi la legge dice che è necessario conservare il 50% del campione biologico per dare all'imputato la possibilità di effettuare altre verifiche», spiega l'avvocato Claudio Salvagni. «Se poi gli inquirenti fanno gli sciuponi', utilizzano tutto il campione e non danno modo di effettuare le indagini difensive, nel dubbio l'imputato va assolto».
Ma per la Corte d'assise d'appello ulteriori approfondimenti genetici non servono, dato che sul punto si è espressa, per ben due volte, la Cassazione respingendo la richiesta di scarcerazione di Bossetti. La prima, il 25 febbraio 2015, sottolineando come «l'identificazione di un essere umano si compie analizzando i marcatori autosomici del dna nucleare» e il profilo genetico di Ignoto 1 è sovrapponibile a quello di Bossetti «con un grado di affidabilità pari alla certezza statistica». La seconda, il 13 novembre, precisando che «nel farsi onestamente carico dell'incongruenza riscontrata, tale discordanza non può comunque mettere in discussione il rinvenimento del dna nucleare dell'accusato sugli indumenti della vittima».
Il presidente del collegio, Enrico Fischetti, voleva un verdetto all'unanimità e inattaccabile in Cassazione, da qui il lungo lavoro della camera di consiglio. Per Salvagni è «la morte del diritto: se c'è il dna non facciamo nemmeno il processo, che altrimenti è una farsa», sbotta. Secondo il procuratore generale della Corte d'appello di Brescia Pier Luigi Dell'Osso, «se una giuria di primo grado e una d'appello non hanno ritenuto necessaria una perizia, lo hanno fatto nella piena libertà di giudizio». Ciò che ritiene «deplorevole», semmai, «è la pressione mediatica rara ed esagerata sul processo» che «il presidente Fischetti ha saputo ben contenere», così come le straripanti dichiarazioni spontanee di Bossetti: «Il tribunale - afferma Dell'Osso - non è un palcoscenico né un luogo di rappresentazione».
Esauriti i giudizi di merito, i difensori del muratore di Mapello potranno proporre davanti alla Suprema Corte solo questioni di legittimità, denunciando eventuali violazioni delle norme sulla giurisdizione con l'obiettivo di arrivare alla cancellazione della sentenza di secondo grado e - se non proprio all'assoluzione di Bossetti - almeno a una sentenza di annullamento con rinvio, cioè un processo d'appello bis. «Per noi l'assassino di Yara è in libertà. Questo è stato un processo a difesa delle indagini, della bravura dei Ris - attacca Salvagni - Il sostituto pg Marco Martani ci ha attaccato dicendo che abbiamo aggredito le istituzioni. Noi abbiamo rispetto per le istituzioni, ma sono fatte da uomini che possono sbagliare». Intanto Bossetti è tornato nel carcere di via Gleno a Bergamo, dove si trova dal 16 giugno del 2014. Oggi riceverà la visita dei suoi avvocati che cercheranno di infondergli fiducia in attesa della Cassazione, chi lo ha visto lo descrive come un uomo «molto provato». Che continua a proclamarsi innocente: «Accusarmi dell'omicidio di Yara è il più grande errore della storia».
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci