Gianfranco Bettin, sociologo, scrittore, politico e amministratore di sinistra,

Giovedì 27 Aprile 2017
Gianfranco Bettin, sociologo, scrittore, politico e amministratore di sinistra, oggi presidente della Municipalità di Marghera: è normale l'applauso della platea leghista a Verona?
«È normale in queste condizioni. Negli ultimi anni si sono presentati con un impatto fortissimo dei reati che hanno un carattere diverso dagli altri, crimini predatori all'interno dell'attività commerciale o addirittura in casa. Anche se questo tipo di reati è in calo dal punto di vista numerico, l'impatto è profondo e chi vi assiste introietta un senso di paura e di indignazione che non hanno tanti precedenti e questo prepara il terreno a quella reazione che si è vista a Verona oppure a reazioni come le ronde o i controlli di vicinato. Un'altra componente di quell'applauso è il senso di impotenza».
Il fatto di non sentirsi protetti?
«Esatto, ma non del punto di vista delle forze dell'ordine, quanto delle pene: si ha l'impressione che chi commette questi reati non paghi mai. E questo prepara il terreno ad atteggiamenti del tipo: siccome lo Stato non ti tiene in galera, io non solo mi difendo, ma ti stendo, mi faccio giustizia da solo».
Influisce il fatto che si tratti di stranieri?
«I protagonisti delle aggressioni più enfatizzate sono stranieri. È normale che sia così perché la criminalità straniera e soprattutto dell'est è quella che ha più praticato il crimine predatorio ed efferato: Gorgo è un caso esemplare. Va anche detto che la presenza di italiani è però molto frequente: nella nostra amata Mestre gli ultimi tre delitti in casa sono stati fatti da italiani. Quando però sono stranieri, c'è l'elemento dell'alieno».
Quanto incide la politica in quell'applauso?
«La componente decisiva è forse proprio il ruolo della politica che si divide in fazioni e trasforma i rispettivi seguaci in tifosi. Nell'applauso vedo la vicinanza a un imprenditore che racconta un momento in cui stava per diventare vittima e ha reagito. Ma l'applauso ha anche un contenuto liberatorio perché la persona depredata diventa giustiziere. Arrivano i nostri, come al cinema. Solo che i nostri sono la vittima stessa. Ma è evidente che in una platea politica come quella di Verona, platea di un partito che dell'intransigenza ha fatto una bandiera, c'è anche uno schieramento un po' da tifosi. E il rischio è di snaturare i nostri valori. Chi ha applaudito dovrebbe riflettere sulla cupa euforia della vendetta e dovrebbero ragionarci anche i responsabili della cosa pubblica: l'occhio per occhio rischia di renderci tutti ciechi».
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