Eleonora Duse, quell'istinto che rivoluzionò il teatro

Lunedì 7 Agosto 2023 di Alberto Toso Fei
Eleonora Duse nel ritratto di Bergamelli

VENEZIA - CHIOGGIA - Se Eleonora Duse, che abitò a lungo affacciata sul Canal Grande a palazzo Barbaro Wolkoff tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, si sentiva veneziana nell'anima, è ben vero che i veneziani da sempre la considerano una di loro.

D'altronde l'attrice - che calcò le scene di mezzo mondo - sebbene nata a Vigevano nel 1858, era originaria di Chioggia da parte di padre.

LA VITA

E Venezia, città nella quale ebbe il suo primo successo teatrale con "La Principessa di Baghdad" di Alexandre Dumas nel 1882, fu sfondo anche del suo leggendario incontro con D'Annunzio, che con lei diede vita a un tormentato connubio amoroso e artistico: i due, che già si erano conosciuti a Roma, si incontrarono casualmente (secondo la leggenda) nel corso di una notte insonne per entrambi, mentre vagavano per la città. In realtà avvenne in un luogo molto significativo: quel giorno D'Annunzio annotò infatti in uno dei suoi taccuini "Amori et dolori sacra Hotel Royal Danieli Venezia". Si dovette a D'Annunzio l'appellativo di "Divina" col quale l'attrice fu conosciuta.

Già reduce da un matrimonio con l'attore Tebaldo Checchi, dal quale aveva avuto una figlia, Enrichetta, per d'Annunzio Duse interruppe la relazione con il letterato Arrigo Boito. Donna estremamente libera, fu assieme all'attrice francese Sarah Bernhardt - con la quale diede vita a una rivalità che divise i critici teatrali - simbolo della belle époque, e dettò le mode del momento, rivoluzionando i costumi femminili.


Per esempio non amava usare i corsetti, con grande scandalo dei benpensanti. Eleonora Giulia Amalia Duse nacque il 3 ottobre 1858 da Alessandro Vincenzo Duse e Angelica Cappelletto, e andò in scena fin da bambina sul palco della compagnia girovaga del padre, in un misto di nomadismo e dilettantismo. Fu forse anche per questo che mise a punto un suo stile inconfondibile, che ruppe totalmente gli schemi del teatro ottocentesco; il suo metodo recitativo si basava molto sull'istinto e sulla naturalezza: a volte camminava lungo il palcoscenico e gesticolava, poi si sedeva e cominciava a parlare. Altre volte, nelle scene dove doveva esprimere forte dolore, si aggrappava alle tende del sipario e piangeva disperatamente. Atteggiamenti molto incisivi che le permisero di recitare in molti Paesi, ma sempre in lingua italiana: anche quando il pubblico non comprendeva le parole, intendeva ciò che l'attrice sapeva esprimere.

Anton Čechov, che la vide recitare nella "Cleopatra" di Shakespeare, descrisse in questo modo l'esperienza in una lettera alla sorella: "Non conosco l'italiano, ma ella ha recitato così bene che mi sembrava di comprendere ogni parola; che attrice meravigliosa!". Eleonora Duse fu apprezzata anche da Konstantin Stanislavskij, l'ideatore del celebre metodo di recitazione che porta il suo nome, che affermò di essersi ispirato a lei per la creazione del Teatro d'arte di Mosca.

Divenuta ricca e famosa, non dimenticò mai le sue origini umili e rifuggì l'idea di "borghesia" al punto che come confessò in una lettera all'amica Giulietta Mendelssohn faceva cambiare ogni giorno le lenzuola per poter trovare qualcosa di pulito quando, "sporca", tornava dalle sue serate in teatro. Eleonora Duse non fece mai uso di trucco, né sul palcoscenico, né nella vita privata, e fu molto fiera dei suoi lineamenti marcati, non affatto in linea con i canoni estetici dell'epoca.

Nel 1909 abbandonò il teatro, ma vi ritornò nel 1921; nel frattempo, interpretò il suo unico film, "Cenere", tratto dall'omonimo romanzo di Grazia Deledda. Morì di polmonite nel corso di una tournée statunitense, a Pittsburgh, il 21 aprile 1924. Come da lei stessa richiesto, fu sepolta nel cimitero di Sant'Anna ad Asolo, dove aveva dimorato nella "casa dell'arco" tra il 1920 e il 1922. Il Museo Civico di Asolo espone ritratti e lettere autografe dell'attrice, oggetti, libri, abiti e calzature di scena, donati nel 1933 dalla figlia Enrichetta Angelica Marchetti Bullough. La Fondazione Cini, sull'isola di San Giorgio, conserva altri cimeli, e una ciocca di capelli. Gabriele D'Annunzio dettò l'epitaffio che si può leggere sulla parete della sua casa asolana, che la definisce "figlia ultimogenita di San Marco".

Ultimo aggiornamento: 8 Agosto, 08:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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