Palombari, militari e scienziati: il giornalista Pietro Spirito racconta le vite di uomini sotto il mare

Mercoledì 2 Agosto 2023 di Alessandro Marzo Magno
Palombari, militari e scienziati: il giornalista Pietro Spirito racconta le vite di uomini sotto il mare

Storie di mare, storie che solo il mare sa dare, storie di uomini infinitamente piccoli di fronte all'infinitamente grande, che si può solo rispettare, perché se si tenta di sfidarlo se ne esce irrimediabilmente sconfitti. È quanto racconta Pietro Spirito, giornalista del "Piccolo" di Trieste e subacqueo d'annata, nel suo "Storie sotto il mare", edito da Laterza.

C'è un po' di tutto, da Jules Verne al batiscafo con cui Jacques Piccard e Don Walsh nel 1960 arrivarono nel punto più profondo del pianeta, meno 10.916 metri, in fondo alla fossa delle Marianne.


INCURSORI
Se si vuole capire cosa significhi essere uomini (e oggi anche donne) di mare bisogna leggere le pagine dedicate all'affondamento della corazzata autriaca "Viribus Unitis", a Pola, il 1° novembre 1918, a opere di due incursori di Marina italiani, Giovanni Rossetti e Raffaele Paolucci. Dopo aver minato l'ammiraglia austroungarica varata a Trieste il 25 giugno 1911 i due vengono catturati. Decidono di salvare quante più vite possibile e Rossetti chiede di vedere il comandante, Janko Vukovi de Podkapelski; lo è da poche ore, da quando cioè l'imperatore Carlo d'Asburgo ha trasferito la flotta della morente Austria alla nascente Jugoslavia. «L'incursore italiano spiega senza giri di parole: la nave è in grave pericolo. Janko Vukovi de Podkapelski, in perfetto italiano chiede a Rossetti di spiegarsi meglio. Rossetti risponde che non può dire di più. L'ufficiale lo guarda. Ha capito, la sua nave è stata minata. Chiede all'italiano se anche altre navi in rada sono in pericolo. Rossetti dice di no, solo la "Viribus Unitis". Senza replicare né domandare altro, Vukovi prende un giubbotto salvagente ed esce dalla cabina seguito da Rossetti, ordinando in tedesco a chiunque incontri di abbandonare immediatamente la nave. Rossetti e il contrammiraglio raggiungono la coperta, dove Vukovi ripete l'ordine. Rossetti chiede al comandante se anche lui e Paolucci possano mettersi in salvo, Vukovi dice di sì». I due però vengono riportati a bordo, l'esplosione non arriva e si è sparsa la voce che sia tutta una balla. Gran parte dell'equipaggio ancora sul ponte, assieme al comandante. Quando, in ritardo, avviene la detonazione i marinai ex asburgici si fanno sempre più minacciosi, Rossetti protesta di aver agito con lealtà.


NEMICI SALVATI
«Il contrammiraglio Vukovi gli dà ragione. L'ufficiale, con la sua divisa perfetta e la cintura salvagente, allontana i marinai più agitati, ordina personalmente a un'imbarcazione a remi in avvicinamento a poppa di mettere in salvo i due incursori italiani che gli hanno appena distrutto la nave». La corazzata si sbanda, il comandante continua a impartire ordini. A un certo punto, in pochi secondi, si rovescia. Paolucci scriverà. «Si presenta in aria immensa, verdognola, la chiglia, che pianamente affonda. E su questa chiglia un uomo che si arrampica, che raggiunge la vetta, che si ferma dritto». È il comandante Janko Vukovi de Podkapelski che muore con la sua nave dopo aver salvato gli incursori nemici. Rossetti devolve una buona parte del premio ricevuto per aver affondato l'ammiraglia nemica alla vedova e al figlio dello scomparso comandante austriaco. Nel dopoguerra il destino dei due incursori si divide: Paolucci aderisce al fascismo e diventa parlamentare; Rossetti antifascista, è vicino al partito repubblicano e l'Ovra lo mette sotto sorveglianza.


LA DECIMA MAS
Gli incursori della Regia Marina, intanto, vengono riuniti in un reparto che prende il nome di Decima Mas e organizzano imprese ai limiti dell'incredibile, come l'affondamento della corazzata britannica "Valiant" nel porto di Alessandria, nel dicembre 1941. Anche in questo caso gli incursori italiani Luigi Durand de la Penne ed Emilio Bianchi vengono catturati e anche in questo caso avvertono il comandante nemico perché metta in salvo gli uomini. Non ci sono vittime (invece a Pola si erano registrati circa 300 morti). Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 una parte degli incursori rimane fedele al re e passa nelle file dalla Marina cobelligerante, altri si arruolano nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese che agisce come reparto di terra della Rsi, soprattutto in funziona antipartigiana. La fine della Decima repubblichina ha molto a che fare con Venezia: l'ultimo ammainabandiera avviene il 3 maggio 1945 nei locali che oggi sono assegnati alla Scuola navale militare "Francesco Morosini".


PORTO MINATO
Gli ultimi giorni degli Uomini Gamma (i nuotatori della Decima) sono legati a un singolarissimo personaggio, un piccolo nobile russo di nome Eugenio Wolk, nativo di Czernowitz, cittadina della Bucovina austroungarica, oggi in Ucraina con il nome di ernihiv, un posto dove convivevano svariate etnie, con una fortissima presenza ebraica. La famiglia di Wolk fugge in Italia all'indomani della Rivoluzione d'ottobre ed Eugenio si arruola nella Regia Marina. Opera con gli incursori e a un certo punto gli viene in mente di allungare la suola di gomma delle scarpette da nuoto, approntando così le pinne (anche se l'invenzione non gli viene formalmente attribuita).
A fine aprile 1945 «mentre si trova a Valdagno, assieme ai suoi Gamma, Wolk viene a sapere che i tedeschi hanno minato il porto di Venezia», scrive Spirito. «Il suo piano, adesso, prevede di raggiungere Venezia con alcuni fidati Uomini Gamma, tagliare i cavi elettrici delle mine sommerse e quindi, dopo aver salvato il porto, rimanere nella città lagunare per attaccare le navi alleate che avrebbero utilizzato lo scalo. Lui da solo contro tutti». Mentre stanno andando verso Venezia, i Gamma vengono però catturati dai partigiani. Li aspetta la fucilazione, ma il destino si mette di mezzo. Il commissario politico del gruppo partigiano è un ucraino già combattente dell'Armata Rossa, catturato dai tedeschi e sfuggito alla prigionia. Il suo nome di battaglia è Marco ed è di Czernowitz, o ernihiv, che dir si voglia. Dice al suo concittadino Wolk che non può salvarli dalla fucilazione, ma che se fossero fuggiti, si sarebbe voltato dall'altra parte. Così accade.


RIFUGIO A VENEZIA
«È l'8 maggio 1945», spiega Spirito, «a Venezia trova rifugio a palazzo Barbaro, meraviglioso edificio gotico quattrocentesco sul Canal Grande. Il palazzo è proprietà di un prozio di Wolk, Aleksandr Volkov, o meglio Alessandro Wolkoff, pittore, chimico, cineasta, e adesso è abitato dalla figlia Vera, sessantenne sposata con un ex ufficiale del cosacchi, tal Mitropan. Lì Wolk aveva già sistemato moglie e figli, sotto falsa identità, e lì si nasconde portando cos sé, e stoccando in una casa vicina, sette tonnellate di esplosivo e l'attrezzatura subacquea completa dei Gamma». Ma la guerra è ormai finita e Wolk si mette a disposizione dei britannici che utilizzeranno i suoi Gamma per sminare il porto di Venezia.

Ultimo aggiornamento: 3 Agosto, 09:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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