Risse e baby gang nel Trevigiano. Parla l'esperto: «Disagio enorme e famiglie impotenti, le richieste d'aiuto sono aumentate del 25%»

Mercoledì 17 Aprile 2024 di Mauro Favaro
Il dottor Nicola Michieletto, direttore dell'unità Infanzia, adolescenza, famiglia e consultori dell'Usl 2

TREVISO - «Il disagio giovanile è enorme. Registriamo un aumento delle richieste del 25%. Il Covid ha scoperchiato il vaso di Pandora. Ma senza questo, ci sarebbe comunque qualcos'altro». A parlare è il dottor Nicola Michieletto, direttore dell’unità Infanzia, adolescenza, famiglia e consultori dell’Usl. L’andamento purtroppo si vede anche attraverso atti di violenza tra giovanissimi, risse e baby gang, se non proprio pestaggi e rapine. «Alcune modalità di espressione aggressive c’erano anche in passato, ma in maniera più episodica - spiega il dottore - l’elemento dei social ha dato ai ragazzi di oggi la possibilità di avere una vetrina. Una delle componenti del disagio giovanile è la necessità di essere guardati.

Le modalità nascono anche da qui. C’è un’enorme amplificazione attraverso canali non controllabili».

Dottor Michieletto, la vulgata dice che non ci sono più i valori di una volta?

«È aumentata la povertà educativa. Con il risultato che qualche giovane pur di mettersi in una situazione di attenzione è disposto a fare di tutto. Senza tener conto delle conseguenze. Vengono bypassate dalla necessità di essere visiti».

Chi si rivolge a voi?

«Ci sono giovani che vivono ritirati dalla società, ci sono gli effetti della dispersione scolastica, così come le depressioni. Per uscire da queste ultime, a volte si hanno esplosioni violente. Ma pensare a una generazione malata sarebbe un errore che pagheremmo caro. Non lo è più di come lo eravamo noi. Solo che c'erano strumenti di controllo, sensibilità e attenzione diversi da parte di istituzioni e famiglie».

Il nodo parte appunto dalle famiglie?

«Sicuramente ha a che fare con la difficoltà delle famiglie a essere contenitive ed educative. I genitori sono in difficoltà. Quando uno dice di essere il miglior amico di suo figlio, ha già fallito. Gli amici me li scelgo, i genitori no. La funzione genitoriale a quel punto è esautorata. Come quando un genitore, per qualsiasi motivo, va a scuola è sbeffeggia un insegnante. E’ finita. E’ invece diverso stare accanto ai figli per capire le loro difficoltà, a 360 gradi. Oggi vedono il futuro con spavento, angoscia e incertezza».

Per le guerre e la crisi climatica?

«Cose molto più terra terra. L’interesse dei giovani riguarda la crescita professionale, gli effetti, l’essere in un gruppo socialmente accettato. Ma il punto vero rispetto alla violenza è che in molti c’è un’immediatezza pulsionale che non fa i conti con le conseguenze. Dal punto di vista dei servizi, dobbiamo riuscire a lavorare con le famiglie. Se spostiamo tutto l’accento sui ragazzi, li etichettiamo come una generazione di malati. E non è così».

L’ultimo episodio di violenza ha visto come vittima un 50enne picchiato in vicolo Rialto a Treviso.

«Il rapporto tra quello che si pensa di aver subito e ciò che si fa è saltato. Non c’è nemmeno la lontana idea di difendere sé stessi. Tutto diventa occasione per scatenare una rabbia interna legata alla necessità di farsi in qualche modo guardare, mostrandosi forti. E il disagio arriva a travalicare i limiti della legalità».

Come se ne esce?

«Con l’educazione all’affettività. Figli e genitori assieme. I genitori non hanno tempo? Invochiamo un welfare aziendale che guardi anche alla possibilità di consentire alle famiglie di effettuare un percorso diverso ma parallelo rispetto a quello dei figli».

Ha senso parlare di servizio civile obbligatorio per i responsabili di aggressioni o atteggiamenti simili?

«Certo. Ma dovrebbe essere fatto anche dai genitori. Sarebbe bello sentir dire: caro figlio, non so cosa ho sbagliato ma se butti per terra un’anziana e ti mettono a fare servizio civile, io vengo con te».

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