L'ira della mamma: «La mia Irina uccisa per la seconda volta»»

Sabato 3 Giugno 2023 di Valeria Lipparini
La mamma di Irina Bacal all'intitolazione della stanza al commissariato di Conegliano

CONEGLIANO - Sono trascorsi sei anni da quando la figlia Irina Bacal non c’è più. Uccisa a vent’anni, massacrata dal fidanzatino Mihail Savciuc. Ma quando la mamma Galina Bacal ha letto il giornale è inorridita. Il femminicidio di Senago, nel milanese, l’ha fatta precipitare a quei giorni, a quel dolore che non conosce requie. A quel vuoto enorme che gli anni non riescono a riempire. È come se la sua Irina fosse morta un’altra volta. Lei, così come Giulia Tramontano, uccisa dal compagno reo confesso Alessandro Impagnatiello, era incinta di sette mesi. E tutte e due sono state tradite da coloro che amavano.

Irina colpita alla testa con una pietra e strangolata, Giulia accoltellata. «Basta morti così, basta violenza contro le donne». Galina ha affidato il suo pensiero all’avvocato che l’aveva assistita al tempo del processo, Nicola De Rossi, dello Studio 3A.

IL RICORDO

Lei non se la sente di parlare. Troppo strazio. Sei anni che sono gocciolati via lentamente. «Ogni giorno è una pena infinita. Non so come fare a continuare a vivere. Il dolore è troppo grande» dice attraverso il legale. Il processo a carico di Savciuc si è concluso con la condanna a 30 anni dello studente. Una condanna che non riporterà in vita sua figlia. «Quando leggo sul giornale notizie terribili di donne uccise per mano dei loro fidanzati mi viene da piangere» dice Galina Bacal. «Capisco i genitori, il loro dolore. Ogni giorno rivivo l’orrore di una ferita che fa male e non si rimargina mai». Galina Bacal è donna molto riservata. Le cose non le dice. Le fa, in silenzio. Il risarcimento per la perdita di sua figlia è stato modesto, nemmeno 100mila euro, in quanto il killer è nullatente, e tutt’ora recluso in galera. A risarcire la famiglia Bacal ci ha pensato il fondo per le vittime di crimini violenti, istituito dallo Stato nel caso in cui il carnefice sia, appunto, indigente o nella posizione di non poter pagare. Eppure, la mamma di Irina quei soldi non li voleva tenere. Per lei erano sporchi del sangue di sua figlia. C’era solo una cosa che poteva fare. Devolverli per le vittime di violenza. Donne che vengono violentate, picchiate, vituperate. E anche uccise. Dagli uomini della loro vita, fidanzati, amanti, mariti. L’idea di aiutare, per fare in modo che crimini orribili non si ripetano più, le ha dato un goccio di sollievo. Così, ha chiesto informazioni. Il suggerimento le è arrivato quando, nel novembre dello scorso anno, è stata dedicata a Irina Bacal una stanza al commissariato di Conegliano, uno spazio protetto e accogliente pensato per le donne vittime di violenza affinché possano sentirsi sostenute nel delicato momento della denuncia di abusi e maltrattamenti. All’inaugurazione lei c’era. Non ha detto molto, ma l’idea ha cominciato a lavorare nella sua testa. Così ha chiesto di conoscere le associazioni che operano al fianco delle donne maltrattate. Con l’intenzione di donare in beneficenza la somma ricevuta come risarcimento per la morte della sua Irina.

LA STANZA DEL COMMISSARIATO

E la stanza del commissariato di Conegliano, a lei dedicata, funziona. Eccome se funziona. In quello spazio protetto gli agenti del commissariato raccolgono la denuncia di almeno una donna a settimana. C’è chi viene picchiata, chi viene minacciata, chi ha paura per sè e per i propri figli. Tutte le donne vengono messe a loro agio e ascoltate. In alcuni casi tutto si risolve bene, ma nella maggior parte si arriva ad un provvedimento di tutela nei confronti della donna e, in ultima analisi, ad una inchiesta che può sfociare nel processo. Piccoli passi. Ma nella giusta direzione. 

Ultimo aggiornamento: 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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