Metti tre amici e una passione: così nasce "32 Via dei Birrai", azienda da due milioni di fatturato e mezzo milione di bottiglie all'anno

Lunedì 23 Ottobre 2023 di Edoardo Pittalis
Metti tre amici e una passione: così nasce 32 Via dei Birrai

Metti assieme Fabiano Toffoli un agronomo venuto dal Belgio, Alessandro Zilli un ingegnere elettronico che arriva dalle colline del Prosecco e Loreno Michielin un barman trevigiano che sa fare di tutto, l'autista, il meccanico, il falegname. Aggiungi che questi tre cinquantenni hanno in comune la passione per la birra fatta in casa. Uno studia la composizione, l'altro progetta le macchine, il terzo le salda e le mette in funzione. Falli viaggiare su un vecchio Citroen Camper in giro per le fiere di mezza Europa; loro lo chiamano il "mezzo corazzato". Trova un nome originale per la nuova birra, "32 Via dei Birrai" perché 32 è il codice della birra nella categoria merceologica e perché quello è il diametro apparente del Sole visto dalla Terra. Mescola il tutto in una fabbrica a Pederobba proprio dove la pianura si arrende alle prime montagne vere sulla destra Piave.

Un punto strategico e proprio per questo la Grande Guerra ha lasciato a Pederobba un sacrario con i resti di 1000 soldati francesi caduti nella Battaglia del Solstizio.

Un gigantesco muro bianco a rappresentare il muro di fanti che ha frenato l'avanzata nemica. E grandi statue color gesso a raffigurare la Francia e l'Italia come due madri che reggono sulle ginocchia il figlio caduto. È qui vicino al Piave che tre amici scontenti del vecchio lavoro, decisi a fare birra a ogni costo, si uniscono e nel 2006 incominciano l'attività.

La piccola azienda oggi ha un fatturato di due milioni di euro, produce mezzo milione di bottiglie all'anno, centomila esportate

«All'estero siamo fascia alta, in qualche paese addirittura superlusso». Nove tipi di birra distinti per colore, una col tricolore a sottolineare il cento per cento italiano. Nomi originali e anche un tappo speciale che si trasforma in portachiavi. Sono gli unici al mondo a produrre una birra sulla cui bottiglia il nome è inciso in braille; Andrea Bocelli si è prestato a fare il testimonial. Non vogliono la definizione di "birra artigianale". Precisano: «Birra di fermentazione alta rifermentata in bottiglia e non pastorizzata». Per distinguersi in un mercato che sì è affollato in pochi anni di birrifici artigianali: in Italia sono 1326, nel solo Veneto 138. C'è stato un boom della birra, ogni italiano ne beve in media 35 litri all'anno; un giro d'affari di una decina di miliardi. Un successo tale da meritare una cattedra universitaria a Perugia e una piccola enciclopedia opera del veronese Luca Grandi: "Turismo birrario. Guida per viaggiatori in fermento" (Edizioni Lswr), quattro volumi, uno interamente dedicato al Nordest.

Toffoli è il belga: come è arrivato a Pederobba?
«Sono nato a Bruxelles, mamma Rosalyne belga e papà Luciano veneto. Lui girava l'Europa per la Solvay, il colosso della chimica e della plastica. In Belgio bere birra è quasi normale, fanno anche la birra per bambini. Ho fatto i primi corsi di degustazione che ero ancora adolescente. Quando avevo 16 anni mio padre è venuto a Milano per aprire la sede in via Turati e siamo rimasti in Italia. Parlo quattro lingue. Sono stato per qualche anno letteralmente sequestrato da Slow Food, tenevo master nelle varie nazioni su olio, formaggio, vino Quando la birra è diventata di moda sono stato chiamato anche alla scuola Enologica di Conegliano e mi sono spostato nel Veneto».


Perché è contento di fare birra?
«Il mio lavoro principale è fare birra. Apro la pentola di miscela e sento il profumo che sento da quarant'anni e sono felice. Quando ero bambino ogni martedì mia zia portava dolci pregiati e mia nonna un profumo francese. I profumi sono rimasti importanti per me, anche quando la birra fermenta senti la scorza d'arancia. Il momento più bello è il mercoledì sera quando ha finito il lavoro l'ultimo operaio, allora con i miei amici assaggiamo le birre, sentiamo i profumi. Alessandro l'ho conosciuto quando facevo il servizio militare a Verona e lui finiva di studiare a Padova. Alcuni commilitoni che venivano da Valdobbiadene mi raccontavano di questo giovane che faceva la birra a casa e volevano un parere».


Come è nata l'idea di "32 Via dei Birrai"?
«Nel 2006 da tre persone che avevano un sogno e volevano un lavoro tutto loro. Con me c'erano Alessandro che insegnava e progettava macchine, Loreno che allora gestiva un bar. Nessuno dei tre era contento, oggi siamo tre persone soddisfatte. Io ero nel settore e ho recuperato attrezzature usate, il telaio meccanico l'ha progettato Alessandro, la prima camera calda, quella della fermentazione, l'ha saldata Loreno nel primo capannone. Loreno andava in giro col furgone per le vendite e si occupava delle fatture, la prima è del 26 giugno 2006, emessa a un giovane di Segusino. È la nostra data storica, ogni anno festeggiamo».


Cosa vi fa preferire anche con un prezzo alto?
«Il nostro prodotto ora va anche in giro per il mondo. Le nostre bottiglie sono tutte da 750 cc. e in rete si trovano sopra gli 11 euro, al tavolo anche 15 con gli ultimi aumenti. Il primo acquisto è quasi sempre spinto dalla curiosità, il riacquisto è emozione, apprezzamento della qualità. L'intensità olfattiva è assalto al naso, l'assaggio è sentire tante cose. Adesso abbiamo deciso di fare la birra da bere a pranzo, formato mezzo litro, la nostra monodose: per esigenze di mercato, per richieste della clientela, per motivi di costo. L'italiano medio non ha della birra un concetto di condivisione, ognuno deve avere la sua. E sarà tutta italiana: tappo corona dal Piemonte, vetro da Mantova, etichetta da Verona, lievito da Oderzo, orzo veneto, luppolo da Monfumo, acqua bellunese. Prestiamo molta attenzione alle varie fasi del processo: meno turbi la materia prima, più ti ritrovi con un prodotto più genuino. Noi non filtriamo e non pastorizziamo, e in una cosa ci distinguiamo rispetto alla birra industriale: nella grande fabbrica il mosto fermenta in un serbatoio, esce il gas e la birra si gasa dentro il serbatoio e viene imbottigliata; noi invece facciamo la fermentazione a serbatoio sempre aperto. Da noi la presa di schiuma avviene in bottiglia».


E Alessandro Zilli come è arrivato in Via dei Birrai?
«Sono figlio di professori delle medie, ho la passione per la birra da quando avevo 14 anni e cominciavo a fare collezione di bottiglie vuote nei locali. Prima la passione per il collezionismo, poi per la produzione, ma per imparare non c'erano testi italiani in giro. Mi sono laureato in ingegneria elettronica a Padova, ho insegnato elettronica negli istituti tecnici e, intanto, ho incominciato a costruirmi le macchine da solo: la piccola fabbrica di birra divideva l'officina dove coltivavo l'altra mia passione per motorini e moto di ogni genere. Si sparge la voce, allora non erano tanti a fare birre artigianali, e conosco Fabiano col quale stappiamo una nostra bottiglia: volevamo il parere dell'esperto venuto dal Belgio. Abbiamo collaborato, quell'impianto pilota adesso fa parte della nostra storia ed è conservato. Ora ci divertiamo un sacco, siamo anche appassionati della musica metal e del rock, se ci riusciamo andiamo ai concerti. Loreno è il nostro contatto umano. Ha fatto il metalmeccanico, il venditore di Folletto porta a porta, ha gestito locali anche di nome. Quando è entrato in società ha comprato il furgone che c'è ancora, è quasi il quarto socio, ci ha portato in tutte le fiere».


Non è poi cambiato moltissimo da quando l'uomo, diventato stanziale, 10mila anni fa ha iniziato a fare la birra che è antica quanto il vino. Pare che la prima birra sia stata prodotta quasi contemporaneamente in Turchia e in Cina, e non come si credeva in Mesopotamia e in Egitto. I faraoni bevevano birra, nell'antica Roma si faceva la birra. In Umbria c'era un'abbazia dove i monaci producevano birra nell'VIII secolo.

Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 17:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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