Falda inquinata e stop ai pozzi,
«Cosa berranno i nostri bovini?»

Mercoledì 23 Marzo 2016 di Alda Vanzan
Martino Cerantola, presidente della Coldiretti del Veneto
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«Ma lo sa quanta acqua serve per abbeverare una vacca del peso di sei quintali? Dai 60 ai 100 litri di acqua al giorno. E vi pare che un allevatore possa mettersi a usare l’acqua minerale in bottiglia? E, anche volendo, chi paga?». È quanto afferma Martino Cerantola, da pochi mesi presidente della Coldiretti del Veneto, dopo aver appreso che la Regione ha disposto lo stop ai pozzi agricoli contaminati da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche sversate per anni da una fabbrica che hanno inquinato la falda acquifera di un’area di 180 chilometri quadrati tra Vicenza, Padova, Verona.

La decisione di non utilizzare più l’acqua dei pozzi per tutti gli allevamenti, quindi sia quelli di tipo familiare che intensivo e estensivo, è stata presa dal "gruppo tecnico per la tematica alimenti" costituito lo scorso 8 marzo a Palazzo Balbi a supporto della Commissione tecnica regionale che si sta occupando della vicenda Pfas. E il gruppo di lavoro, giusto una settimana fa, ha deciso che l’acqua per gli allevamenti e per le aziende di produzione alimentare che viene presa dai pozzi agricoli deve avere le stesse caratteristiche di quella potabile. Testuale: "L’acqua utilizzata rispetti per Pfas i valori di performance stabiliti per l’acqua potabile".

E se l’acqua dei pozzi nell’area della contaminazione non è a posto?
«Appunto - sbotta il presidente della Coldiretti - Se non si può usare l’acqua dei pozzi per gli allevamenti di bestiame e per le coltivazioni, mi dicono dove andiamo a prenderla? E chi paga?». Prima ancora della seduta straordinaria del consiglio regionale di martedì scorso, Cerantola aveva mandato una lettera al presidente della Regione Luca Zaia per sapere com’era la situazione: «Il governatore ha fatto la task-force, c’è stato il consiglio regionale, ma un incontro con le categorie produttive non l’ha fatto».

È così che la Coldiretti torna alla carica rivolgendosi all’assessore all’Agricoltura: «Chiederemo un incontro a Giuseppe Pan. C’è bisogno di fare chiarezza. Tra l’altro, se non ci sono limiti per queste sostanze perché si mette lo stop ai pozzi? E chi risarcirà gli agricoltori?». Cerantola ricorda che alcune Ulss hanno obbligato i possessori di pozzi a effettuare analisi a proprie spese: «Roba da 150, 200 euro a colpo. La sicurezza alimentare è sacrosanta, ma se l’inquinamento da Pfas non l’hanno causato gli agricoltori, perché le spese devono ricadere sul nostro settore?».

Quanto al report informativo "Contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche nella Regione Veneto" presentato dagli assessori Giampaolo Bottacin e Luca Coletto durante la seduta del consiglio di martedì, nel dossier è indicato anche cosa verrà fatto nel trimestre aprile-giugno 2016. Posto che a breve sono attesi i risultati del biomonitoraggio umano che dirà se e quanti Pfas sono stati trovati nel sangue delle persone sottoposte a controlli, è in agenda uno studio epidemiologico di popolazione. Le persone, cioè, saranno sottoposte a esami per verificare ad esempio colesterolo, uricemia, diabete e se ci sono malattie della tiroide. Va detto anche che il report regionale esclude per ora danni alla salute.
Sempre per il prossimo trimestre sono previsti un nuovo monitoraggio sugli alimenti con l’Istituto superiore della sanità, un monitoraggio dell’acqua potabile in distribuzione e controlli sui pozzi, la produzione di bollettini mensili di informazione sulla qualità dell’acqua potabile. È prevista anche la valutazione dello spostamento del cosiddetto "campo pozzi".
 
Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 08:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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