Francesca da Porto, la prof che studia gli edifici antisismici: «Gli errori alla base dell'Italia che crolla»

Lunedì 13 Novembre 2023 di Edoardo Pittalis
Francesca da Campo

PADOVA - Non è possibile prevedere i terremoti, ma l'Italia è una terra molto vecchia e la scienza della sismologia storica ha insegnato qualcosa: ci si difende rendendo le case meno vulnerabili. In Italia ci sono 15 milioni di edifici, quasi tredici residenziali e in gran parte realizzati prima delle norme antisismiche. Ogni anno si spendono tre miliardi e mezzo di euro in ricostruzione. «Il nostro è un paese che ha terremoti di intensità medio alta, fortunatamente non altissima, ma con conseguenze molto gravi legate agli edifici. C'è stato un errore alla base e nel tempo ci sono responsabilità politiche enormi: molte case non dovevano essere costruite in quei posti», dice Francesca da Porto, 49 anni, padovana di Camposampiero, docente al Bo di tecnica delle costruzioni e una dei massimi esperti in Italia di strutture e terremoti. L'altro giorno ha esordito, su nomina della Presidenza del Consiglio, nella Commissione Grandi Rischi settore sismico e subito si è trovata di fronte il problema dei Campi Flegrei: l'allarme è forte, l'area è un enorme campo vulcanico a ovest di Napoli popolato da quasi un milione di persone.
Francesca da Porto sui terremoti e gli edifici ha lavorato e studiato sul campo in giro per il mondo.

Ricorda che fin da bambina le piacevano le costruzioni: «Avevo una montagna di bambole che mi arrivavano dalle sorelle più grandi, mai guardate, mi piacevano le costruzioni dei Lego».


Dai Lego all'ingegneria: una strada in discesa?
«Vengo da una famiglia culturalmente aperta dove ognuno poteva scegliere la sua strada. Papà Antonio era medico nefrologo all'ospedale di Treviso, mamma Vittoriana insegnava filosofia. Ho due sorelle più grandi, Alessandra agronoma e Claudia avvocato. Mio padre era molto coinvolto nello studio e nel suo lavoro, così la mamma si è presa carico della famiglia. Una donna estremamente severa, di grande cultura, e ci ha cresciuto in maniera piuttosto rigida. Le mie sorelle hanno avuto figli quando io ero giovanissima e per me è stato bellissimo vedere la trasformazione di mia madre diventata nonna, coi nipoti era veramente diversa. Anche con mio figlio Antonio che ora ha 9 anni. All'ingegneria sono arrivata quasi naturalmente. Quando abitavamo a Treviso mi facevo portare in giro perché mi piaceva vedere le case del centro. A sette anni abbiamo fatto il giro da San Gimignano a Volterra a Siena e quando le rivedi da adulto continui ad avere l'immagine della prima volta. Dopo lo scientifico ho scelto Ingegneria edile a Padova. Con una borsa di studio sono stata al Politecnico di Bruxelles e ho lavorato a Washington, vicino al Campidoglio. Abitavo con giovani da tutto il mondo in una casa con un'enorme cucina e un tavolo ovale. Il giorno del mio compleanno, un sabato, ognuno ha messo sul tavolo un piatto tipico del suo paese. È stata una colazione fantastica».


E l'impatto col terremoto?
«Al ritorno in Italia ho avuto un dottorato di ricerca dall'università di Trento e un periodo in Slovenia dove c'erano laboratori avanzati in ingegneria sismica. Per due anni ho avuto una borsa di studio del Cnr, lavoravo per far collaborare Italia e Est europeo proprio su questi temi. Verso la fine del dottorato ho presentato un grosso progetto europeo, ha vinto tra 900 e mi ha dato la possibilità di rimanere nell'università, dove sono entrata nel 2006 come ricercatrice sul comportamento sismico delle strutture esistenti. Nel 2009 c'è stato il terremoto dell'Aquila e pochi giorni dopo mi sono trasferita nella città: cercavano esperti che facessero sopralluoghi delicati. Ci sono rimasta molti mesi, lavorando gratuitamente sulla messa in sicurezza di edifici svincolati, chiese, palazzi. Ricordo il sopralluogo della grande caserma della Finanza dove Berlusconi avrebbe riunito il G8. Quando entri in un palazzo civile vedi la vita interrotta, sono i dettagli che ti chiudono lo stomaco. Tocchi con mano, non è il semplice studio di laboratorio. Un'esperienza umana fortissima, vivere tra persone che hanno perso tutto e si danno da fare per ricominciare».


Di che cosa si occupa?
«Mi occupo dell'effetto dei terremoti. Al momento non esiste la possibilità di prevederli, ma in Italia abbiamo una grande e storica conoscenza in materia. L'unica attività possibile per mitigare l'impatto del terremoto è cercare di mettere in piedi politiche di miglioramento, rendere gli edifici più resilienti, meno vulnerabili. Negli ultimi anni ci stiamo occupando della scala di rischio per individuare come e dove intervenire. La zona più esposta è quella dell'Appennino centrale, le perdite maggiori si collocano in Emilia Romagna demograficamente più esposta, per numero di abitanti, edifici, fabbriche. Il problema grosso è l'esposizione dal punto vista demografico e delle costruzioni, non si possono abbandonare i centri storici, molta della nostra civiltà deriva dalla bellezza dei luoghi in cui viviamo. A Norcia da metà Ottocento si fanno interventi di consolidamento e anche dopo il sisma del 1997 il centro storico ha avuto pochissimi danni. E fa impressione rispetto al centro di Amatrice devastato».


E nel Veneto cosa accade?
«È una situazione un po' strana: demograficamente l'esposizione è piuttosto alta, ma la pericolosità è variegata, le parti orientale e occidentale sono le più esposte, mentre la zona di pianura ha valori decisamente più bassi. Il rischio è inferiore rispetto all'Emilia Romagna. Fino a dieci anni fa la nostra regione era considerata meno a rischio, ma nel Veronese si costruiva senza certe regole, mentre nel Bellunese e nel Trevigiano c'era più attenzione. Ora anche il Veneto deve provvedere».


Per sei anni è stata prorettrice all'Edilizia del Bo, ora è prorettrice alla Sostenibilità: cosa significa?
«Allora bisognava catalogare un patrimonio di 180 edifici, molto grande e per certi aspetti anche trascurato. La prima cosa che mi è venuta in mente è che bisognava dare uno sguardo al futuro sostenibile e non soltanto badare alla manutenzione. Nel 2018 abbiamo lanciato la Carta degli impegni per la Sostenibilità che è stata inserita anche nel programma dalla nuova rettrice. I corsi universitari sono sempre più improntati alla sostenibilità e ai diritti umani. Come università non devi solo impartire lezioni, devi dare il buon esempio. L'idea è stata quella di iniziare a investire per diventare ecosostenibili negli acquisti, nella gestione delle risorse, prolungare la vita delle cose, non generare rifiuti. Bisogna muoversi in ogni direzione: qui c'è il primo asilo nido di ateneo, aperto anche agli studenti; qui tra Comune e Università è stato realizzato il servizio notturno di autobus. Questa è una città con 70 mila studenti universitari, il rapporto con le istituzioni aiuta i miglioramenti. Siamo un'azienda complessissima: 6000 dipendenti, 70 mila utenti, 180 edifici, 32 dipartimenti, 11 aree dell'amministrazione centrale. Riuscire a organizzare questa grandissima complessità organizzativa secondo sostenibilità non è facile ma dà risultati incredibili».


Solo lavoro?
«Se devo interrompere preferisco uno spazio aperto, penso all'Australia. Amo i centri storici, quello che era un piacere di bambina ora mi tocca per lavoro. Mi piace andare in barca a vela, ho praticato tanto sport, anche a livello agonistico; giocavo a pallavolo, facevo gare di sci, il mezzofondo in atletica. Poi soprattutto il teatro. L'ho fatto a livello amatoriale: "La vita di Galileo" di Brecht è stata la prima cosa e mi ha lasciato il segno».

Ultimo aggiornamento: 10:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci