«Verità per Giulio», chi ha onorato
Valeria "richiamato" per Regeni

Martedì 10 Maggio 2016 di Gi. Bi.
Valeria Solesin e Giulio Regeni

PADOVA/UDINE - Un Comitato per Giulio Regeni. Nasce dall'impegno di alcuni volontari del  Centro Studi Storici Luccini di Padova che si appellano - e qui sta l'originalità dell'iniziativa - a tutti coloro che hanno onorato la memoria della ricercatrice veneziana Valeria Solesin.

I motivi dell'iniziativa
«Perché la società civile deve chiedere la Verità per Giulio: l’evidente imbarazzo dei vari Paesi – ivi compresa l’Italia, il cui Governo è da varie settimane silenzioso sulla vicenda – nel chiedere conto al Governo egiziano del crimine di cui si è macchiato, impone oggi alla cosiddetta società civile – in primo luogo quella italiana - la responsabilità di chiamare apertamente i propri rispettivi Governi ad azioni incisive contro l’attuale politica del regime di Al Sisi.  Un'opinione pubblica che pensasse di delegare alla sola diplomazia la conduzione della campagna per la verità, si assumerebbe una colpa grave:  quella di una sostanziale acquiescenza al regime di Al Sisi e ai suoi crimini, da quello di Giulio Regeni a quelli delle migliaia di persone arrestate e torturate in Egitto.
E’ necessario oggi affermare con forza che la battaglia contro il terrorismo islamista non può e non deve essere affrontata mettendo da parte la libertà e i diritti civili, affidandone la gestione a regimi colpevoli della più spietata repressione  contro i propri cittadini. Noi pensiamo che la società civile italiana, che ha unanimemente onorato la ricercatrice veneziana veneziana  Valeria Solesin, uccisa nell’attentato al teatro Bataclan di Parigi nello scorso novembre, e ne ha apprezzato l’impegno professionale e civile con cui aveva condotto la sua vita di giovane italiana emigrata all’estero, debba in modo del tutto analogo onorare la memoria di Giulio Regeni, imponendo che emerga la verità sulla sua morte.

Dobbiamo diventare pienamente consapevoli del fatto che Valeria Solesin e Giulio Regeni appartengono entrambi a quella meglio gioventù che il nostro Paese deve assolutamente difendere.  Quella gioventù, la gioventù Erasmus, che ha saputo utilizzare al meglio l’opportunità di studio ad essa offerta, sviluppando la conoscenza e la pratica della multietnicità, il rispetto e la curiosità per le altre culture, il senso profondo della convivenza umana e civile.
Lo studioso Giulio Regeni, che al Cairo studiava, per la sua tesi di dottorato presso l’Università di Cambridge, la struttura produttiva ed il mondo del lavoro in Egitto,  era un appartenente a questa gioventù  e dimostrava concretamente quanto la conoscenza e la cultura siano oggi strumenti essenziali per la convivenza tra i popoli.    
Per rendere onore e per difendere questi giovani proponiamo la costituzione di un Comitato nella nostra Padova, che dovrà premere sul Governo italiano perché non faccia mancare l’impegno per arrivare alla verità sulla morte di Giulio Regeni, anche adottando iniziative incisive contro Al Sisi: dalla definizione dell’Egitto come Paese pericoloso – ciò comporterebbe un attacco economico alla sua industria del turismo -, all’embargo, in particolare  delle armi, che colpirebbe da un punto di vista politico e militare l’attuale regime egiziano, fino ad atti più estremi, anche se certamente remoti, quali la minaccia della interruzione delle relazioni diplomatiche. Alcune iniziative in tal senso sono già avviate nel nostro Paese: si tratta ora di ampliarle e di dare ad esse continuità.

Caratteristiche ed attività del Comitato - Il Comitato è  aperto ad associazioni e singoli cittadini che condividono l’indignazione per la morte terribile di Giulio Regeni e per i crimini che ancora oggi vengono perpetrati dal regime di Al Sisi. Si rivolge quindi alle donne e agli uomini di buona volontà, senza discriminazione alcuna di orientamento politico o religioso, di formazione culturale od altro, che intendono la pacifica convivenza tra le persone e tra i popoli come una conquista quotidiana, che deve vedere il rispetto della persona e dei diritti civili come un bene assoluto.
Il Comitato nasce senza alcuna volontà centralizzatrice od egemonica, auspicando al contrario che siano molti coloro, singoli od organizzati, che vorranno prendere autonomamente l’iniziativa:  dall’esposizione nelle abitazioni o sul luogo di lavoro o in occasione di eventi, del manifesto per Giulio Regeni; alla sensibilizzazione di familiari ed amici; alla sottoscrizione degli appelli che stanno comparendo sulla stampa nazionale; fino all’invio di lettere di solidarietà e di vicinanza umana alla famiglia di Giulio Regeni. Il Comitato sarà quindi una struttura di servizio, offrirà materiale di documentazione sulla vicenda e funzionerà da strumento di comunicazione, sia a livello locale che nazionale, tra le diverse iniziative.

Esso si pone, a breve, l’obiettivo di indire una manifestazione a Padova che coinvolga sia l’Università che l’intera città nella battaglia per la VERITA’ PER GIULIO REGENI.

LA STORIA - Giulio  è stato sequestrato, torturato crudelmente per più e più giorni, ed infine ucciso al Cairo, capitale dell’Egitto, nello scorso gennaio. Fin dall’inizio è apparso chiaro che i tentativi della polizia, dei servizi di sicurezza e dello stesso Governo egiziano di allontanare da se stessi la responsabilità di questo crimine erano la testimonianza delle difficoltà di un regime oppressivo, affannosamente alla ricerca del modo di nascondere non solo la responsabilità di questo omicidio, ma anche la colpa delle migliaia di sparizioni e delle  probabili uccisioni di giovani egiziani, di cui da molti mesi non si hanno più notizie.

Vari ministri del Governo egiziano, fino ad arrivare allo stesso Presidente Al Sisi, hanno prima parlato, per Giulio Regeni, di morte in un incidente stradale, poi di omicidio maturato in ambienti omosessuali, poi di morte addebitabile a “persone malvagie”, infine di rapina - per appropriarsi di quali ricchezze? – accompagnata dalle più crudeli torture -  per estorcere quali vantaggiosi segreti? – e infine di omicidio  da parte di una banda di supposti ladruncoli, immediatamente uccisi a sangue freddo dalla polizia perché non restasse loro alcuna possibilità di difendersi dalle accuse, dimostrandone la completa falsità. In questa occasione la polizia ha deciso maldestramente – capita che i più feroci poliziotti ed agenti dei servizi siano anche molto stupidi quando temono di essere scoperti – di lasciare nell’abitazione di uno dei presunti rapinatori uccisi i documenti ed alcuni effetti personali di Giulio Regeni:  contrariamente alle  intenzioni, la polizia egiziana ha in questo modo fornito la migliore prova documentale della propria piena responsabilità in questo omicidio.

Chi era e perché è stato ucciso. Giulio Regeni era un giovane studioso, dottorando presso l’Università di Cambridge, in Inghilterra, che stava lavorando al Cairo alla stesura della sua tesi di dottorato:   tema della tesi erano la struttura produttiva ed il mondo del lavoro in Egitto.    Al fine di acquisire materiale utile per la sua ricerca, Giulio Regeni era entrato in contatto con ambienti di lavoro e sindacali che si pongono all’opposizione rispetto all’attuale regime militare. Per meglio comprendere il perché dell’attenzione dei militari per tutto ciò che avviene in tale ambito, bisogna ricordare che oltre il 40% dell’intera attività economica egiziana ricade sotto il controllo, diretto o indiretto, delle forze armate.  A questo va aggiunto il fatto che il regime militare versa  oggi in grandi difficoltà –  politiche ma soprattutto  economiche - all’interno del Paese, e cerca di reprimere in qualsiasi modo qualunque manifestazione di anche minimo dissenso. Per questi motivi fin dal suo arrivo in Egitto Giulio Regeni è stato seguito e monitorato nella sua attività da agenti in borghese dei servizi.    Il 25 gennaio, quinto anniversario della rivolta popolare del 2011 contro l’allora presidente Mubarak, Regeni è stato sequestrato dalla polizia – non si sa se da parte degli stessi agenti che già lo sorvegliavano o forse più probabilmente da altri - nei pressi di piazza Tahrir, luogo simbolo di quella rivolta e che per questo motivo era tenuto sotto stretto controllo e rastrellato con centinaia di arresti nel corso della giornata da parte della polizia. Da allora più nulla si è saputo di Giulio.  Da allora sono cominciati i balbettii del Governo egiziano e gli assordanti silenzi dei Governi degli altri Paesi.

Non stupisce, di fronte alla gravità di quanto accaduto a Giulio e alle migliaia di altri giovani egiziani, il silenzio di Paesi come la Russia o come la Cina, che sono noti per non tenere in gran conto temi come la dignità della persona e l’esercizio dei diritti umani e civili. Ma preoccupa molto di più il silenzio, o la evidente timidezza ed inconcludenza nel caso dell’Italia, da parte di Paesi che si definiscono alfieri della democrazia e strenui difensori dei diritti umani: non c’è traccia di pressioni sull’Egitto e neppure di prese di posizione da parte della Francia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti, della Germania, della Unione Europea.

Al contrario, il presidente francese Hollande è volato al Cairo lo scorso 18 aprile per vendere ad Al Sisi armamenti vari, di produzione francese ma non solo  – una piccola parte della commessa toccherà anche alla italiana Finmeccanica -, per un importo di oltre  5 miliardi di euro. Si capisce da fatti come questo perché Al Sisi può permettersi impunemente di negare anche l’evidenza.  Il suo potere di dissuasione, per non dire di ricatto, nei confronti dei Governi occidentali, e di qualsiasi anche larvata loro critica nei confronti della politica di polizia condotta all’interno dell’Egitto, riposa su questo semplice e nello stesso tempo antichissimo aut aut:  se volete che l’Egitto stabilizzi  - politicamente, militarmente ed economicamente - quella delicatissima area che sta fra il Medio Oriente e il Nordafrica e se volete che gli armamenti a tal fine necessari vengano comprati con lucrosi guadagni presso le vostre fabbriche d’armi, non stupitevi e non protestate più di tanto se il regime per reggersi deve ricorrere alla brutale repressione di ogni dissenso.

A questo si aggiunge l’altro grande strumento in mano al regime di Al Sisi: quello di essere salito al potere per eliminare il Governo legittimo dei Fratelli Musulmani, formazione accusata di appartenere al mondo fondamentalista islamico e per questo considerata, a torto o a ragione, vicina alle formazioni più estremiste – magari anche solo dal punto di vista ideologico-religioso – di quel mondo. In un’epoca in cui il terrorismo islamista di Daesh minaccia ovunque la sicurezza dei popoli e delle singole persone, regimi come quello di Al Sisi – ma anche quello dell’Arabia Saudita – vengono sostenuti dai Governi occidentali e viene giudicata tutto sommato accettabile – forse a malincuore – la repressione interna che li contraddistingue.




                                                                                
                                                 

Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 00:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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