Sappada, secessione impossibile
Sfuma ancora la data del voto

Lunedì 25 Aprile 2016 di Giuseppe Pietrobelli
Sappada, secessione impossibile Sfuma ancora la data del voto
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SAPPADA - La secessione impossibile è una specie di araba fenice politico-istituzionale, un sogno che le popolazioni dei Comuni che chiedono di cambiare regione inseguono da anni, trovandosi di fronte un muro di gomma fatto di pareri, commissioni, eccezioni e rinvii che stanno vanificando il voto popolare che ha portato la maggioranza degli elettori di un paese alla scelta di tagliare le radici con la propria comunità di appartenenza. In questo caso il Veneto. Ma la secessione impossibile è anche un tema spinoso, che divide i partiti – il Pd anche al suo interno, la Lega rispetto ai tanti movimenti separatisti - e allontana sempre di più la periferia dai centri di potere parlamentari. Tre giorni fa è sfumata ancora una volta la calendarizzazione del voto in Senato del disegno di legge per portare la bellunese Sappada in Friuli. Ripetizione di quanto accaduto a metà marzo, quando sembrava ormai fatta: l'aula si stava preparando a votare il disegno di legge presentato dalla ex leghista feltrina Raffaela Bellot, ora con il gruppo Fare di Flavio Tosi, poi tutto era stato bloccato.
“Dopo la figuraccia di un mese fa, avevo chiesto di mettere in calendario il voto su Sappada, uno dei Comuni veneti che hanno approvato i referendum. Ma anche questa volta la conferenza dei capigruppo ha rifiutato” spiega la senatrice Bellot. “Il Parlamento ha il dovere di dire a questa gente se è a favore o contro il cambio di Regione. Non può continuare a non rispondere, a non legiferare”. Il clima si è fatto incandescente. I tosiani accusano il governatore del Veneto, Luca Zaia. “Se avesse voluto, avrebbe dato una spinta e il voto ci sarebbe stato. Zaia lo ha detto che per lui la questione è il Veneto, non Sappada e nemmeno Lamon”. Infatti, il presidente spinge sull'autonomia del Veneto, ma non vuole perdere nemmeno un Comune. “In questa fase dobbiamo essere compatti ed evitare una guerra fra poveri: sarebbe come se, durante la resistenza, i giovani migliori invece di combattere fossero scappati”. Lo aveva detto nel 2007, a Sappada, alla vigilia del referendum, anche l'allora governatore Giancarlo galan: “Sappada non passerà mai in Friuli”.
Tema divisivo, anche in casa del Partito Democratico. Perchè Sappada è attesa a braccia aperta dalla Regione vicina, che ha espresso parere favorevole alla modifica dei propri confini. Debora Serracchiani, pur essendo vicesegretario del Pd, non fa mistero di aspettare quanto prima i sappadini eppure non ha condizionato in tal senso la linea del partito di maggioranza da cui dipende, a Roma, il voto del Parlamento.
Dal Veneto è venuta due giorni fa una dura presa di posizione del deputato bellunese Roger De Menech, che è anche segretario uscente del partito. Ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordando le “condizioni di drammatica disparità” in cui vivono le popolazioni del Bellunese, che si trovano strette fra due regioni a statuto speciale. Ed ha attaccato in dichiarazioni pubbliche la governatrice friulana: “Debora Serracchiani parla linguaggi diversi, uno da presidente del Friuli, l'altro da vice segretario del Pd. E' ora di finirla con questa pantomima che va avanti da mesi e passare ai fatti concreti. Non sono mai stato contro i sappadini ed i loro diritti di veder riconosciuta la richiesta referendaria. Ma bisogna avere il coraggio di portare avanti i problemi di tutta la montagna bellunese, soprattutto nella parte alta. Non ci sono differenze tra Sappada, il Comelico, l'Agordino per quanto riguarda il divario esistente con le province e la Regione a statuto speciale”. Insomma De Menech è in sintonia con la posizione di Zaia.
Sotto il cielo la confusione è grande. Anche per questo tutti i Comuni veneti che negli ultimi undici anni hanno approvato i referendum popolari sono ancora lì che aspettano. Nessuno, come aveva predetto Galan, ha lasciato il Veneto.
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