Gaza, Netanyahu: «A Rafah con o senza accordo». Fasi, tempi e ostaggi: le condizioni dell'accordo

Le condizioni dell’intesa: due fasi, ostilità sospese per dieci settimane e liberazione degli ostaggi

Martedì 30 Aprile 2024 di Raffaele Genah
Gaza, Netanyahu: «A Rafah con o senza accordo». Fasi, tempi e ostaggi: le condizioni dell'accordo

In Medio Oriente, spesso, il tempo è una dimensione indefinita, da piegare o dilatare a seconda delle convenienze. Per Hamas è un’arma di pressione per spuntare condizioni ancora migliori di quelle «straordinariamente generose» - così le ha definite il segretario di Stato Usa Antony Blinken in missione in Giordania- per un cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi e prigionieri palestinesi.

E così dopo aver aspettato alcuni giorni, prima di volare a Il Cairo per esaminare la proposta dei negoziatori egiziani e qatarini, i capi dell’organizzazione terroristica islamica si sono presi altro tempo per dare la loro risposta, nonostante l’invito ad «accettare senza altri ritardi» del capo della diplomazia americana, da ieri in Israele. Eppure al loro arrivo avevano manifestato posizioni aperturiste e prima di partire hanno detto a una tv saudita che l’accordo proposto rifletterebbe alcune condizioni poste da loro. La motivazione più o meno ufficiale è che ora devono mettersi in contatto e aspettare i pareri dei due capi militari Yahya Sinwar e Mohammed Deif nascosti nel buio di qualche tunnel della Striscia. Ma l’allungamento dei tempi viene letto in Israele come un tentativo di allontanare quanto più possibile l’operazione a Rafah facendo lievitare la pressione dei familiari degli ostaggi e anche le contrapposizioni all’interno dell’esecutivo e del gabinetto di guerra.

L’OPERAZIONE

E allora arriva la dichiarazione del presidente israeliano Benjamin Netanyahu che si trascina dietro una ventata di gelo: «L’evacuazione dei civili da Rafah è iniziata, noi entreremo ed elimineremo Hamas con o senza un accordo». «L’idea di fermare la guerra senza smantellare i battaglioni ancora presenti è impensabile». Parole destinate a molte orecchie. Ai parenti degli ostaggi e dei militari - o meglio: alle due organizzazioni di destra che li raggruppano - davanti ai quali pronuncia il suo discorso, e a cui promette che la guerra non potrà finire senza il ritorno a casa dei loro congiunti (anche se il grosso dei familiari è fermamente contrario all’azione in questo momento). E sono anche parole che dovrebbero in qualche modo placare la rabbia dei due esponenti della destra messianica e ultranazionalista che minacciano di uscire dal governo se si fermerà l’operazione a Rafah. Ma Netanyahu in questo modo pensa soprattutto di aumentare la pressione su Hamas che in tutta questa vicenda, forte degli ostaggi che detiene, continua a imporre le proprie condizioni.

 

I NEGOZIATI

Da quello che filtra sui giornali arabi Hamas vuole altre concessioni sul ritiro dei militari israeliani dal corridoio di Netzarim che taglia in due la Striscia, sul numero e l’identità dei detenuti palestinesi che lasceranno le prigioni. Secondo il Wall Street Journal invece l’ipotesi sul tavolo si articolerebbe in due fasi. La prima con il ritorno a casa di 20 ostaggi in tre settimane, la seconda prevedrebbe un cessate il fuoco di 10 settimane durante le quali il numero dei sequestrati rilasciati sarebbe maggiore e la tregua potrebbe durare mesi. Numeri che però non si allineano con le ipotesi fin qui circolate secondo cui i civili che potrebbero essere rilasciati sarebbero 33, gli unici sopravvissuti a sei mesi di prigionia durissima. Hamas vorrebbe poi che tra i garanti dell’accordo figurasse anche la Turchia insieme all’Egitto, Qatar, Usa e Russia, condizione respinta da Israele che avrebbe espresso invece la disponibilità al ritorno nel Nord della Striscia non solo per donne, anziani e bambini, come inizialmente deciso. Su tutte queste incertezze incombe anche lo spettro di un mandato di cattura della Corte penale internazionale per Netanyahu, per il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato Maggiore Herzi Halevi per crimini contro l’umanità che potrebbe far saltare ogni accordo. Almeno questo è il timore degli Stati Uniti e di molti suoi alleati. «Se dovesse accadere - tuona Netanyahu - sarebbe una macchia indelebile per tutta l’umanità, un crimine di odio che aggiungerebbe benzina all’antisemitismo».

Ultimo aggiornamento: 1 Maggio, 07:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA