Un giornalista fazioso può anche non essere sleale a patto che riconosca di raccontare la "sua" verità

Martedì 16 Aprile 2024

Caro direttore,
non sono abbonato a nessun giornale, ma fin da bambino ad ora che non posso più definirmi giovane, ho sempre avuto una assidua frequentazione dei quotidiani. Condivido in larga parte la sua risposta al signor Enzo Fuso di domenica 14 aprile, ma, stimandola non poco, mi hanno amareggiato alcuni suoi passaggi. Lei dice: "Alcuni organi di informazione sono faziosi e di parte perché esiste un pubblico di lettori che questo vuole e questo chiede". Ma perché, di grazia, un giornalista con gli attributi dovrebbe gratificare il gregge belante? Forse perché tiene famiglia? Il "sentire diverse campane, non appassionarsi ad un unico rintocco" dipende sì dal lettore, ma anche dal giornalista, che deve tenere più alla sua dignità che alle lusinghe del mercato. Mi permetto poi di contraddire anche la frase di Enzo Biagi da lei citata. Dichiararsi faziosi è, per me, una colpa, è essere sleali, ab origine, verso quel briciolo di verità che si possa miseramente accostare alla Verità tutta intera. Con immutata stima.

Tiziano Lissandron
Cadoneghe (PD)


Caro lettore,
mi dispiace averla amareggiata.

Ma da sempre ci sono alcuni giornalisti che ritengono che il loro ruolo sia quello di "suonare il piffero per la rivoluzione" come ebbe a scrivere il grande Elio Vittorini in una celebre risposta al segretario del Pci, Palmiro Togliatti, e alla sua tesi, contestata da Vittorini, che il compito degli intellettuali fosse quello di sostenere la linea e le istanze del partito. Da allora sono passati molti decenni, il rapporto tra cultura, informazione e politica è profondamente cambiato, ma, a sinistra come a destra, continuano ad esistere giornali e giornalisti politicamente "schierati" e anche lettori che approvano questo tipo di giornalismo e comprano i loro giornali. Si può non essere d'accordo con questo modo di intendere il ruolo e la professione, ma è sbagliato demonizzarla. O ridurla a una scelta dettata da interessi miseri ("tengono famiglia", "vogliono gratificare il gregge belante"). Più semplicemente questi giornalisti ritengono di essere coerenti con il loro modo di vedere, leggere e interpretare la società. E trasferiscono queste convinzioni nel loro lavoro. Per questo è giusto ciò che ha scritto Enzo Biagi. La faziosità o la partigianeria non sono una colpa se chi scrive è onesto intellettualmente, cioè racconta quello che ritiene essere la "sua" verità dei fatti. Potrà sbagliare e non piacerci, ma esercita una sua libertà. La slealtà sta invece nel piegare consapevolmente i fatti e il racconto della realtà alla proprie convinzioni o censurarne una parte per costruire una narrazione più efficace e convincente. È un confine labile, ma decisivo.

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