OJ Simpson morto, il processo: dai guanti insanguinati (che lo scagionarono) ai nastri con gli insulti razzisti

Secondo l'accusa Simpson era un ex marito mosso dalla gelosia.

Giovedì 11 Aprile 2024
OJ Simpson morto, il processo del secolo: l'America divisa e la strategia della difesa

Il caso OJ Simpson polarizzò in maniera estrema l'opionione pubblica americana: neri contro bianchi, prove conclamate che persero di valore sotto gli occhi di milioni di telespettatori, una saga che non fu priva di errori e inciampi.

L'attenzione fu tale che il caso ha due esiti opposti: assoluzione in sede penale e condanna al risarcimento in un secondo processo civile. 

l processo cominciò il 9 novembre del 1994 e la prima udienza si tenne il 24 gennaio 1995. La giuria di dodici persone era formata da sette afroamericani, quattro caucasici e un ispanico. La pubblica accusa fu rappresentata da Marcia Clark e dal giovane e inesperto Christopher Darden. Simpson affidò invece la sua difesa a una squadra di legali di altissimo prestigio guidata da Johnnie Cochran che includeva anche Robert Shapiro, F. Lee Bailey, Alan Dershowitz, Robert Kardashian (già amico personale di Simpson e patriarca della famiglia Kardashian, è morto nel 2003), Gerald Uelmen, John Yahoe, e Carl E. Douglas, più due avvocati specializzati in prova del DNA: Barry Scheck e Peter Neufeld.

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L'accusa

Il processo si chiamò "People of the State of California v. Orenthal James Simpson". Il giudice era Lance A.Ito. La strategia dell'accusa puntava a dimostrare il carattere violento di Simpson, facendolo apparire come un cattivo padre e marito che non aveva accettato la separazione, e facea leva sulle passate denunce della moglie Nicole per violenze.

 

Il movente

Secondo l'accusa Simpson era un ex marito mosso dalla gelosia che non aveva accettato la separazione e aveva sorpreso la ex moglie con l'amante. Movente passionale, si sarebbe detto. Ma prima di un femminicidio, la questione si caratterizzò per un altro aspetto altrettanto carico di emotività: il fumus della discriminazione razziale.

 

La strategia difensiva

La difesa introdusse così un elemento che via via sarebbe diventato il filo conduttore dell'intera strategia: la discriminazione razziale. Simpson era ricco e famoso, ma era nero, e per questo i poliziotti coinvolti, prevalentemente bianchi, secondo la difesa l'avrebbero voluto incastrare. Bianco era, in particolare, l'investigatore che trovò i guanti insanguinati, Mark Fuhrman, il quale si era reso colpevole in passato di insulti e discriminazioni razziali. 

 

Le registrazioni con gli insulti razzisti

La difesa trovò, e portò in tribunale, dei nastri registrati nei quali Fuhrman si scagliava contro i neri con epiteti pesanti e dichiarava che quando c'è la certezza della colpevolezza «...in qualche modo le prove saltano fuori». Dopo la diffusione dei nastri, il detective Fuhrman fu richiamato sul banco dei testimoni dalla difesa ma si avvalse della facoltà di non rispondere per tutte le domande che gli furono poste, tra cui quella se avesse piazzato o manomesso prove sulla scena del crimine. Così una delle prove cardine dell'accusa, i guanti insanguinati, perse molta credibilità dopo che gli avvocati di Simpson insinuarono il sospetto che Fuhrman li avesse messi deliberatamente sulla scena del crimine.

 

I guanti

Un altro colpo alla tesi dell'accusa arrivò quando il procuratore Darden decise di far provare a Simpson i guanti, contro il parere dei suoi superiori e della collega Clark, che non li ritenevano una prova attendibile. I guanti si rivelarono troppo stretti per le mani di Simpson. Divenne celebre la frase dell'avvocato Cochran: «if it doesn't fit, you must acquit» (Se non calzano, dovete assolverlo).

 

Il sangue nell'auto

Il sangue trovato nell'auto e sotto le unghie delle vittime fu neutralizzato dalla difesa, anche questo. Il pool di legali riuscì a dimostrare che i campioni di DNA non erano stati trattati a dovere come raccomandano i manuali, e che quindi c'era la possibilità che fosse stato alterato, o comunque che non fosse attendibile. 

Il "processo del secolo" e l'America divisa

Il processo polarizzo a tal punto l'America che il Paese si spaccò tra bianchi e neri. Il 3 ottobre 1995 la giuria emise il verdetto in meno di quattro ore, sentenziando l'innocenza di O.J. Simpson. Gli analisti e l'opinione pubblica rimasero sconcertati dalla velocità con cui i giurati raggiunsero l'unanimità. La difesa era riuscita, quindi, a sostenere che non c'erano prove per condannare Simpson.  

E per capire il caso mediatico-giudiziario basta guardare le facce degli americani incollati alla tv per seguire in diretta la pronuncia del verdetto. 

 

Processo civile, esito opposto: OJ Simpson condannato

Citato in giudizio Simpson per danni OJ Simpson fu condannato nel 1997 in sede civile e dovette versare alle famiglie un risarcimento stellare di 67 milioni di dollari. Non andò in carcere: in sede penale non fu mai provato oltre ogni ragionevole dubbio che fosse lui il killer. 

Presunta confessione

Nel 2012 il serial killer Glen Edward Rogers avrebbe confessato al fratello Clay e a un criminologo di essere il vero autore del duplice omicidio. Disse di aver agito per rubare dei gioielli su mandato di Simpson ma le sue dichiarazioni non sono mai state prese sul serio. 

Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 13:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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