La posta in gioco è alta.
Si deve cioè votare un elenco bloccato. «È evidente», secondo l’imprenditore, «che la tentazione per chi fa la lista del consiglio, che sono poi di fatto il Presidente e l’amministratore delegato, è quella di inserire persone che assecondano la loro visione». Questo meccanismo rischia di creare, usando un’iperbole, «un’autocrazia».E rende quasi nulla la funzione di controllo del consiglio di amministrazione. Alle minoranze, con il sistema delle liste bloccate, sono riservati una manciata di posti. «Alla luce della disciplina vigente», dunque, «non è irrealistico pensare che gli amministratori possano impadronirsi delle società». Anche per una serie di cortocircuiti del sistema. Nelle assemblee un peso rilevante lo ha il voto dei fondi di investimento ai quali è affidata una quota importante del risparmio. Ma questi non agiscono «sulla base di scelte selettive e meditate». Comprano i titoli in modo automatico e standardizzato. Non hanno un ufficio studi, per esprimere il loro voto si affidano ai “Proxy”, società di consulenza che “suggeriscono” chi votare. Queste società però, fanno consulenza ad «ampio spettro» per cui, ha spiegato Caltagirone, «è chiaro che se il consiglio uscente ha dato dei mandati ai Proxy, questi ultimi saranno probabilmente più benevoli verso la lista dei candidati presentata dallo stesso consiglio». Lo spettro insomma, del conflitto d’interesse. Che riguarda gli stessi fondi di investimento, che oltre che essere azionisti delle società, possono gestire anche una parte dei loro investimenti. Comunque sia, il rischio è di «mettere nelle mani di alcune organizzazioni consulenziali il futuro di fondamentali imprese italiane».
IL PASSAGGIO
La soluzione? «Non sta a me darla», ha detto Caltagirone, ma quella del «voto multiplo» sarebbe una strada a cui guardare «a protezione e a difesa dalla speculazione». Diverse imprese italiane, da ultima la Brembo, si stanno trasferendo in Olanda proprio con la giustificazione che in quell’ordinamento è previsto il voto multiplo, che «consente al socio stabile di nominare gli amministratori». Perché, ha spiegato Caltagirone, «non è possibile che un’azienda familiare che si quota per recuperare risorse da destinare agli investimenti, diluendosi magari al 30 per cento del capitale, rischi poi di essere espropriata da speculatori che impongono i loro amministratori orientati solo al breve termine». Vista così, la Borsa non può che far paura a quelle piccole e medie imprese, molte delle quali familiari, che il disegno di legge sui capitali si propone invece di attrarre sul mercato. Caltagirone è anche tornato sul tema della successione chiedendo modifiche alla legge per fare in modo che il padre possa «consegnare» le imprese al figlio più capace. La proposta è quella di rimodulare la legittima. «La quota nella disponibilità di chi fa testamento», ha spiegato l’imprenditore, è insufficiente a garantire la maggioranza al successore scelto. La legge italiana, ha spiegato Caltagirone, vede il problema della successione solo in un’ottica «patrimoniale», ma le imprese, soprattutto di grandi dimensioni, hanno anche «una dimensione sociale» che va salvaguardata. E poi, ha aggiunto, bisogna «semplificare le leggi e renderle meno contestabili possibile». Le parole dell’imprenditore hanno fatto breccia nella Commissione. Per Renzi sarà «necessario lavorare per cambiare il voto di lista». Patuanelli ha trovato nelle indicazioni dell’imprenditore «motivi di allarme». Anche per Boccia è necessario che il Parlamento faccia «una riflessione seria». Per Gelmini quella di Caltagirone è stata una «riflessione molto utile per difendere gli interessi nazionali». E anche il relatore Orsomarso si è detto «soddisfatto» dell’intervento.