Gianpaolo Bonzio
SUONI SPARSI di
Gianpaolo Bonzio

Ian Anderson si racconta: Jethro Tull, tanti anni di concerti

Giovedì 15 Febbraio 2024
Ian Anderson

Hanno saputo mescolare con efficacia il folk con la musica classica, in una produzione che ha solcato i decenni e incantato i fan. Ora il il 13 febbraio si sono esibiti al teatro Politeama Rossetti per ripercorrere un lungo cammino iniziato in Inghilterra ne 1968. Va detto che in questi ultimi tempi Ian Anderson e compagni hanno dato alla luce due distinte produzioni come “The Zealot Gene” e soprattutto “RökFlöte” che continuano a muoversi nelle tradizioni del passato. Anderson, classe 1947 e originario della Scozia, è entrato nella storia anche per aver introdotto, e con incredibile determinazione, il flauto traverso nella musica rock strizzando l’occhio in più occasioni al repertorio classico come con l’indimenticabile “Bourée”, la danza tradizionale francese lanciata da Bach.
Ian Anderson, l’ultimo disco RökFlöte indaga sulle principali divinità dell’antico paganesimo norreno cioè scandinavo.

Di cosa si tratta?
«Zealot Gene era stato scritto ed in parte inciso nel 2017 ma è occorso molto tempo per terminarlo, principalmente a causa del Covid, pertanto il lancio fu ritardato. Era basato su versi presi dal Vecchio e Nuovo Testamento della Bibbia. Ho poi iniziato a lavorare sul RökFlöte all’inizio del 2021 e questo disco esplora in maniera piuttosto spensierata, ed anche leggera, la personalità di alcune delle divinità norrene. Ho cercato di evitare ogni connessione scontata con le esplorazioni pagane dell’heavy metal nordico o richiami alle fantasie oscure di Heinrich Himmel, ad esempio. Ci voleva qualcosa di decisamente più leggero».
Molti artisti della sua generazione continuano a calcare i palcoscenici con invidiabile regolarità. C’è un segreto in questo lungo successo?
«Siamo così fortunati ad aver mantenuto il lavoro per tutti questi anni. Direi che l’entusiasmo non viene certo meno, specialmente ora che abbiamo una certa età e riusciamo ad apprezzare la fortuna che abbiamo avuto in tutto questo tempo».
Nel titolo che avete scelto “The 7 decades tour” c’è un preciso riferimento all’esordio dei Jethro Tull. Cosa ricorda di quel primo tour del 1968 e dell’atmosfera di quegli anni?
«Il 1968 non è stato un vero e proprio anno di concerti, parlerei piuttosto di esibizioni e gigs individuali in pub e club in giro per il Regno Unito. Nel 1969 abbiamo iniziato il tour vero e proprio esibendoci in teatri in Gran Bretagna, Europa e anche negli Stati Uniti. Devo dire che non sono mai stato un grande amante dei viaggi. Amo molto i concerti, ma non il faticoso viaggiare o il dover trascorrere molti notti lontano da casa. Pertanto d’ora in poi mi dedicherò a tour corti e frequenti, non desidero dormire per più di tre notti consecutive fuori dal mio letto».
A cosa si deve questa scelta?
«Non ha a che fare con l’età, ma con il fatto che ora sento il bisogno di godere di più della vita familiare, consapevole di aver rinunciato a così tanto nei giorni, mesi e anni trascorsi in lunghi tour. Adesso mi piace svegliarmi con il canto degli uccelli e il rumore delle foglie nel vento fuori dalla finestra di camera mia e con il nuovo gattino che dorme sul mio viso».
Quanto rimane della musica scozzese nei suoi dischi?
«Sicuramente restano tracce della musica folk scozzese che ho ascoltato da piccolo e anche della musica sacra. Sono nascoste sotto la superficie, ma si possono percepire entrambe le influenze nei miei ultimi album».
Che caratteristiche ha la band attuale rispetto a quelle del passato?
«Sono tutti grandi musicisti, la differenza sta soprattutto nei loro background sociali e musicali, con chiari segni distintivi per ciascuno di loro, che siano jazz, folk, blues o musica classica»
Nel concerto di Trieste cosa resta dello spirito del celebre uomo barbuto e sospettoso della celebre copertina di Aqualung?
«Sulla copertina dell’album appare come un uomo pieno di paura e a cui è stata data la caccia, ma anche come qualcuno che spaventa. Un po’ come me. Non sono mai stato homeless nel vero senso della parola, ma mi identifico nella solitudine, nell’insicurezza di chi sta sulla difensiva e in uno stile di vita un po’ antisociale».

Ultimo aggiornamento: 17:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA