Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Oscar 2016. Il grande bluff e i grandi recuperi
E Spotlight film dell'anno è un bell'abbaglio

Martedì 1 Marzo 2016

Ce l’hanno fatta, Ennio e Leo. Finalmente. Uno ci ha messo praticamente una vita, l’altro ci ha rimesso quasi la faccia. Uno, anni fa, almeno aveva avuto la soddisfazione di un premio alla carriera; l’altro, l’ultimo anno, in “Revenant” si è fatto quasi stuprare da un’orsa per ottenerlo, non sapendo più cosa inventarsi. Due Oscar non più rimandabili. Poi ovviamente succede che il Maestro Morricone firmi una bellissima musica beffardamente funerea, qual è il tema principale di “The hateful eight”, ma forse non così immortale come le sue pagine migliori; e ovviamente l’attore DiCaprio resti quasi schiacciato, non tanto dall’animale selvaggio, quanto da un film pensato unicamente a sua misura. Ma il senso di giustizia è compiuto.
Il palco losangelino li ha accolti emozionati davanti alla standing ovation della platea. E, almeno il musicista, visibilmente commosso, dopo aver ricordato i “colleghi rivali”, soprattutto il grandissimo John Williams, ha avuto parole di elogio e un pensiero personale: “Non c’è una musica importante senza un grande film che la ispiri. Ringrazio Tarantino per avermi scelto. Dedico questa musica e questa vittoria a mia moglie Maria”.  L’attore, invece, si è detto scioccato per la grande spinta avuta da fan e colleghi, allargando lo sguardo al tema scottante del clima: “Con questo film ho avuto la possibilità di parlare di qualcosa che mi ossessiona: il cambiamento climatico, la più grave crisi esistenziale che la nostra civiltà abbia mai conosciuto. Serve l’aiuto di leader mondiali, per i figli dei nostri figli e per tutte le persone non privilegiate che stanno patendo le conseguenze di questo disastro”.
Il resto del palmares è ricco di conferme e sorprese, più sgangherate che condivisibili, senza un vero e proprio vincitore, anche se “Mad Max: Fury road” porta a casa 6 statuette, tutte tecniche però, perché l’Academy non ha il coraggio di abbandonare il proprio, spesso finto, impegno degli ultimi anni e premiare un film di genere, ricodificato dall’interno di un’avventura straripante, telluricamente metal e spietatamente moderna. Così il portentoso George Miller non è il regista dell’anno (senza contare le mancate nomination di Spielberg. Tarantino e Ridley Scott, per dire), ma lo è per la seconda volta consecutiva il messicano Iñárritu, uno dei più grandi bluff della storia della regia, che dopo “Birdman” conferma con “Revenant” la sola capacità di nascondere la propria mediocrità, sbalordendo con sfarzi di esibizionismo narcisistico, una specie di Sorrentino al quadrato, manco fosse Kubrick, Chaplin, Hitchcock, Hawks, Welles (che infatti l’Oscar non l’hanno mai vinto) o Ford e Mankiewicz, che due di seguito li hanno portati a casa. Piuttosto ridicolo.
Con tutto il bene che si può volere poi a “Il caso Spotlight” (a proposito: ancora una volta Venezia mostra di avere un fiuto infallibile, anche se non osò metterlo in concorso, ma certo il valore di un festival non si misura con tali addobbi), votare questo film di impegno civile come migliore dell’anno è davvero buffo, anche se il tema (la pedofilia nella Chiesa) è fortissimo, ma allora bisognava premiare come Oscar straniero “Il Club” del cileno Larraín (troppo duro?, troppo scomodo?), anche se “Il figlio di Saul” dell’ungherese Nemes è comunque un’ottima scelta, che chiude il suo anno di trionfo totale, partito da Cannes.
Poi bisognerà capire come Cate Blanchett e Charlotte Rampling possano essere battute dalla Brie Larson di “Room”, con una recitazione straripante di urla, lacrime e dolore a orologeria; si potrebbe anche dispiacersi per il no allo Stallone (non protagonista) di “Creed”, ma Mark Rylance come spia sovietica in “Il ponte delle spie” è magistrale; meno accettabile premiare Alicia Vikander attrice non protagonista di “The danish girl” al posto dell’immensa Kate Winslet di “Steve Jobs”. Nulla da dire né sulla sbalorditiva fotografia di Emmanuel Lubezki (“Revenant”), ma qui la cinquina era mostruosa, né sul pixariano “Inside out” (animazione). Nulla da fare invece per “Star Wars VII” battuto, anche negli effetti speciali, da “Ex Machina”. Non c’è più la Forza di una volta.

  Ultimo aggiornamento: 10:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA