«Perdono? Quel ladro merita la morte»

Martedì 31 Marzo 2015
Lo sguardo fiero, l'approccio di una donna forte abituata a combattere, il carattere gioviale. Nonostante tutto riesce ancora a scherzare ma gli occhi di un profondo azzurro si offuscano nel ricordare la violenza inaudita che ha subito e che le ha sconvolto per sempre l'esistenza: «Perdonarlo? Mai. Anzi gli auguro di morire e non ditemi che sono cattiva, perché non si trattano così le persone anziane. È proprio vero che non sai cosa aspettarti dalla vita, chi poteva immaginare che a 85 anni avrei dovuto affrontare una prova del genere? Alla fine mi tocca persino dire che mi è andata bene, almeno la gamba me l'ha risparmiata. Quando quell'infame mi ha riempito di botte stavo ancora camminando con il carrellino deambulatore dopo l'operazione al femore». Pestata a sangue da un ladro che l'ha sorpresa alle spalle all'ingresso del suo appartamento di via Aleardi a Mestre, Cecilia Zacchello accetta di parlare dal letto del reparto di medicina dell'Angelo dove è ricoverata dopo essere stata dimessa dalla terapia intensiva. Ma l'incubo in cui è piombata giusto una settimana fa è lungi dal concludersi: davanti a lei una convalescenza piuttosto lunga all'ospedale, anche se le sue condizioni, specie nelle ultime 48 ore, sono sensibilmente migliorate: «Rispetto a come stava ieri (ndr. domenica) non c'è paragone. Perfino gli ematomi sul volto sembrano un po' riassorbiti anche se la situazione rimane ancora da monitorare» spiega il figlio Moreno Semenzato. Con lui attorno al letto della madre c'è anche la compagna Carmen e la figlia Annalisa. Sarà da loro, a Vigonovo, che Cecilia andrà ad abitare in attesa di sistemarsi per conto proprio a Salzano, dove vive l'altro figlio Michele, e trasferirsi definitivamente. Superare lo choc di un'aggressione brutale e assurda, che le ha procurato una ferita insanabile, non è semplice.
«Mi spiace non potete sapere quanto lasciare la casa dove ho vissuto per sessant'anni. Ci sono i ricordi di mio marito Giorgio, ex bancario, dei miei figli, delle gioie, dei dolori. Ma non ho più il coraggio di tornarci. Ogni volta che mi assopisco rivivo quegli attimi terribili, rivedo quel ragazzo, sui 30-35 anni, la maglietta rossa a righe, con i capelli biondi rasati, che si accanisce su di me senza pietà. Era lo stesso cui ho aperto la porta della palazzina quando sono scesa per fare la spesa: ha aspettato che tornassi, nascosto sulle scale. Gli continuavo a ripetere prendi tutto quello che vuoi, qua sei il padrone, ma non mi picchiare, ti prego. Invece guarda qua come mi ha ridotto senza mai pronunciare una parola. Sì, ho temuto davvero che mi ammazzasse. Meno male che il cuore ha retto perché poi non ho più sentito nulla, sono andata in affanno e mi sono ripresa dopo quattro ore e mezza, almeno così mi hanno detto, quando cioè sono riuscita a telefonare a Moreno e a Michele chiedendo aiuto».
L'alimentazione di ossigeno giorno e notte, la mandibola e le costole fratturate che le impediscono di muoversi. E la mano destra con un dito ingessato, quello che il malvivente le ha rotto per strapparle l'anello che indossava: «Aveva dieci brillanti e me l'avevano regalato per le nozze d'argento, non me ne separavo mai. È stato una bestia. Mi ha strappato anche il bracciale. Mentre altri gioielli che avevo sul comodino non li ha presi. Forse pensava che fossi ricca e che avessi soldi ed è diventato una furia nel trovare solo trenta euro» cerca di capire Cecilia. Ogni colpo di tosse le squarta il torace, anche se lei tenta di sdrammatizzare per rincuorare i suoi cari, il fisico rimane duramente provato. Abbozza un saluto nel salutarci: «È meglio che ora dorma un po'».
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