Ater, per 2mila 18 euro di media

Martedì 13 Ottobre 2015
«Di casi come questo ne abbiamo parecchi, anche di persone agli arresti domiciliari». È il direttore dell'Ater provinciale, Vittorio Giambruni a scoperchiare la realtà di un vuoto normativo enorme che permette a chi riceve una casa in assegnazione, di considerarla "sua" per sempre. «Noi possiamo solamente fare un controllo amministrativo per quanto riguarda la morosità». A proposito: solo il 3,5 per cento degli 8.441 assegnatari di alloggi pubblici non paga. Siamo a 1,7 milioni di euro di ammanco. Non granché, ma del resto è difficile che qualcuno non trovi almeno 12 euro al mese per pagare l'affitto.
La situazione oggi è questa: 1.848 assegnatari pagano un canone medio di 18.11 euro. Altri 1.756 pagano 47,75 euro sempre in media. Sono i cosiddetti "area protezione", persone che hanno un reddito quasi a zero. Poi c'è la fascia di coloro che hanno un reddito minimo, l'area sociale. Di questi 1927 pagano mediamente 126,72 euro al mese e 1.561 pagano 173,42 euro. Altri 561 pagano in media 226,48 euro. Poi c'è la fascia più "alta", quelli che hanno un reddito vicino al limite di accoglienza, 24.776 euro. Ce ne sono 319 che pagano 305 euro, 412 che pagano 410 euro e 57 che pagano 483 euro. Questi ultimi non hanno presentato la dichiarazione dei redditi e quindi sono assoggettati al massimo della locazione, maggiore del canone medio mensile di mercato fissato dall'Ater in 400 euro.
Va da sè che 3.600 su 8.400 rappresenta oltre il 40 per cento. E sono inquilini "stanziali". A poco serve infatti la circostanza che l'Ater riesca in qualche modo a garantire un turn-over delle abitazioni sull'ordine di 150-160 all'anno fra quelli che lasciano e quelli che entrano. E non si pensi che gli assegnatari siano in gran parte immigrati. La percentuale totale di extracomunitari sugli assegnatari è del 10-12 per cento.
Il problema è uno solo: mettere mano alla legge che regola le assegnazioni degli affitti. In modo che una casa Ater una volta affidata non sia un lascito eterno. Oggi succede proprio così. A chi fa domanda ad esempio non viene chiesto se ha la fedina penale pulita oppure se ha avuto delle condanne, circostanza che già da sola dovrebbe bastare come causa di diniego. In questo modo dentro le case Ater vivono decine di persone che sono state rinviate a giudizio, oppure che sono agli arresti domiciliari. L'altro aspetto della questione riguarda le condizioni di "uscita". Per poter sfrattare un inquilino o questo non paga (non trovare 18,11 euro al mese è quasi impossibile) oppure deve avere un aumento del reddito superiore al 75 per cento di quello attuale. E comunque può rimanere se non supera gli 80 mila euro. Infine per buttarlo fuori non basta nemmeno una condanna penale. La decadenza passa solo se è dimostrato che il "delitto" (vedi lo spaccio di droga) è stato compiuto all'interno della casa.
La soluzione che la Giunta regionale aveva trovato nel 2012 approvando un testo di riforma delle Ater poi mai votato dal Consiglio e dunque decaduto con la fine della scorsa legislatura, era di far firmare un contratto a tempo determinato, rinnovabile ogni quattro anni e assogettarlo a regole di buona condotta, con un affitto in proporzione reale al reddito. La legge verrà ripresentata la prossima settimana.

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