«I barbari non vogliono vedere il mondo che fiorisce di gioia». Zineb ha 12 anni. Parla per ultima davanti a palazzo Moroni, sede del Comune. In cerchio attorno a lei stanno un centinaio di persone. Innalzano cartelli "L'islam siamo noi non l'Isis". Il "terrorismo è antiumanità". Vengono dalle moschee e dai centri culturali di tutta la città. Si dice che siano diecimila i musulmani qui. E loro nella piazza della Resistenza civile, in faccia all'Università, davanti alla pietra bianca del palazzo delle libertà ci tengono a dire che «Siamo una cosa sola. Non esiste il noi e il voi, questo è il nostro Paese».
Lo dicono, da musulmani, sotto un albero di Natale, con la voce di Hind Talibi, 26 anni, marocchina che andò a stringere la mano al sindaco alla fiaccolata contro il terrorismo. Lo dicono con i bambini, le mogli, i giovani. Insistono a testimoniare che quello che è successo a Parigi, ma anche in Libia o in Mali, li riguarda e fa paura anche a loro, allo stesso modo. Ma reagiscono. Li guida Boukadid Taoufik della comunità marocchina. «Siamo estranei a ogni forma di violenza, il terrorismo va isolato». Ha radunato esponenti dell'associazione Assalam di Piove, quelli di Al Hikhma in via Turazza, il centro culturale islamico del Bangladesh all'Arcella, e della Ferdaws di Pontelongo, quelli di Ala Faraouq e l'Avcp di Rustega. «Non ci sono due Islam, moderato o fanatico - si sfiata al megafono - ma uno solo. Il Corano rifiuta la violenza». Selim Shah vice presidente dell'associazione culturale Bangladesh: «Per noi uccidere una persona è uccidere l'umanità». Poi tocca a Sara dei Giovani musulmani. Legge una traccia che si è preparata sul telefonino. «Il terrorismo non fa parte della nsotra religione. E io come essere umano prima che musulmana sono contro la volenza, dal pugno al terrorismo. Condanniamo chi cerca di dividerci dai cittadini o ci etichetta come assassini». E cita la Costituzione: «Noi ripudiamo la guerra». È simbolicamente folgorante la presenza delle donne al microfono. Jalila dell'associazione Hikma. «No alla violenza e al terrorismo. Ci mettiamo la faccia a ripeterlo, senza stancarci». Majdoulin Sendadi è nata a Casablanca. «Stringiamoci la mano dobbiamo essere uniti di fronte all'ingiustizia, non pernetteremo che qualcuno ci divida».
Il punto nodale è questo, se vuoi la pace prepara la cultura, come si dice. Hind: «Siamo stufi di giustificarci per qualcosa che non abbiamo fatto. E le nostre madri hanno paura quando usciamo perché potremmo essere aggredite, l'islamofobia è un cancro». Da Treviso è venuto anche Kamel Layachi imam e guida delle comunità islamiche venete. La riflessione si innalza. «I nostri centri devono rimanere sedi di spiritualità e di legalità, luoghi aperti e non ghetti. Dobbiamo parlare di continuo della nostra città aprire un dialogo permamente con le istituzioni. Ai giovani dico: vivete in un Paese che riconosce la libertà religiosa, fatene buon uso, perché non siete ospiti è il vostro Paese». L'ultimo applauso è per Valeria Solesin.
Lo dicono, da musulmani, sotto un albero di Natale, con la voce di Hind Talibi, 26 anni, marocchina che andò a stringere la mano al sindaco alla fiaccolata contro il terrorismo. Lo dicono con i bambini, le mogli, i giovani. Insistono a testimoniare che quello che è successo a Parigi, ma anche in Libia o in Mali, li riguarda e fa paura anche a loro, allo stesso modo. Ma reagiscono. Li guida Boukadid Taoufik della comunità marocchina. «Siamo estranei a ogni forma di violenza, il terrorismo va isolato». Ha radunato esponenti dell'associazione Assalam di Piove, quelli di Al Hikhma in via Turazza, il centro culturale islamico del Bangladesh all'Arcella, e della Ferdaws di Pontelongo, quelli di Ala Faraouq e l'Avcp di Rustega. «Non ci sono due Islam, moderato o fanatico - si sfiata al megafono - ma uno solo. Il Corano rifiuta la violenza». Selim Shah vice presidente dell'associazione culturale Bangladesh: «Per noi uccidere una persona è uccidere l'umanità». Poi tocca a Sara dei Giovani musulmani. Legge una traccia che si è preparata sul telefonino. «Il terrorismo non fa parte della nsotra religione. E io come essere umano prima che musulmana sono contro la volenza, dal pugno al terrorismo. Condanniamo chi cerca di dividerci dai cittadini o ci etichetta come assassini». E cita la Costituzione: «Noi ripudiamo la guerra». È simbolicamente folgorante la presenza delle donne al microfono. Jalila dell'associazione Hikma. «No alla violenza e al terrorismo. Ci mettiamo la faccia a ripeterlo, senza stancarci». Majdoulin Sendadi è nata a Casablanca. «Stringiamoci la mano dobbiamo essere uniti di fronte all'ingiustizia, non pernetteremo che qualcuno ci divida».
Il punto nodale è questo, se vuoi la pace prepara la cultura, come si dice. Hind: «Siamo stufi di giustificarci per qualcosa che non abbiamo fatto. E le nostre madri hanno paura quando usciamo perché potremmo essere aggredite, l'islamofobia è un cancro». Da Treviso è venuto anche Kamel Layachi imam e guida delle comunità islamiche venete. La riflessione si innalza. «I nostri centri devono rimanere sedi di spiritualità e di legalità, luoghi aperti e non ghetti. Dobbiamo parlare di continuo della nostra città aprire un dialogo permamente con le istituzioni. Ai giovani dico: vivete in un Paese che riconosce la libertà religiosa, fatene buon uso, perché non siete ospiti è il vostro Paese». L'ultimo applauso è per Valeria Solesin.