«É stato un incubo, temevo lo uccidesse»

Sabato 10 Ottobre 2015
«Dammi tutto quello che hai o ammazzo il bambino». Questa la frase, scolpita nella memoria, che Moreno Lunardi non riuscirà a dimenticare. «Il rapinatore continuava a ripeterla, mente gli puntava alla gola il coltello». Lunardi, titolare di un'agenzia di autonoleggio, è seduto nel salotto della sua abitazione in via Sabbioni, nella frazione di Giarre, dove vive con la compagna ucraina Olga e i suoi due figli, un maschietto di undici anni e la sorella di quattordici. Lei è una bimba bionda dal viso dolce e l'espressione serena che, nonostante l'angoscia e la tensione vissuti l'altra notte, sorride tranquilla. Il fratellino, biondissimo anche lui e paffuto, non le toglie gli occhi di dosso. È la piccola eroina che ha consentito ai carabinieri del Nucleo radiomobile della Compagnia termale di irrompere in casa e bloccare Emiljan Shelna, il malvivente albanese che per oltre un'ora lo ha tenuto in ostaggio con un coltello da 35 centimetri. Un incubo iniziato alle 3 del mattino.
«Sono stata svegliata da passi di fronte alla camera da letto - racconta -; mi sono alzata e sono andata in corridoio. C'era quest'uomo con un coltello in mano e una maglietta bianca arrotolata sulla testa, per nascondere la faccia». Subito intima al fratellino di non muoversi, poi corre nella stanza dove dormono Lunardi e la compagna. «C'è un uomo in casa!» grida. Lui si precipita fuori, seguito dalla donna. La scena che si presenta alla coppia è agghiacciante: Shelna al centro del salotto che serra con il braccio sinistro il collo del piccolo; nella destra, il coltello da cucina, di cui si è impadronito dopo avere forzato per entrare una finestrella sul retro, puntato alla sua gola. Il bimbo in ostaggio, pallido e stravolto, non fiata. Inizia una trattativa snervante. «Gli ho detto che gli avrei dato tutto - racconta l'imprenditore -, ma doveva lasciarlo andare. Era completamente alterato, forse drogato. Gli ho consegnato quattrocento euro, l'orologio e il braccialetto. Mi ha ordinato di dargli anche le chiavi dell'auto, ma ho risposto di no, che mi serviva per il lavoro. Però mi sono offerto di accompagnarlo dove avesse voluto».
A quel punto, la svolta. L'albanese arraffa il denaro e lascia il bambino che corre a rifugiarsi fra le braccia della madre. Lunardi pensa per un attimo di balzargli addosso, ma scarta subito l'idea. Comincia invece a spostarsi verso la cucina, continuando a parlare con il rapinatore per tenerlo occupato. Lo stratagemma funziona. Shelna lo segue, sempre con il coltello in mano, ma almeno il bambino non corre più un pericolo immediato. Non si accorge che la ragazzina, afferrato il telefonino che la madre le ha rapidamente passato, corre in camera e chiama le forze dell'ordine.
«Ho detto che c'era uomo a che voleva fare del male a mio fratello,» precisa la piccola. Fornisce l'indirizzo e torna subito in salotto dove continua il tesissimo confronto fra i due uomini. «Poi - continua nel suo racconto - mi sono accorta attraverso la vetrata dell'ingresso che i carabinieri si stavano avvicinando. Ho attraversato di corsa il soggiorno e ho spalancato la porta». I militari fanno irruzione pistola in pugno. Shelna ha appena il tempo di far cadere a terra il coltello e i soldi. Poi gli uomini in divisa gli balzano addosso e lo immobilizzano. Una rapida colluttazione, che dura una manciata di attimi, e gli serrano le manette ai polsi trascinandolo fuori. L'incubo è finito.

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