"Sistema Mose", c'è un nuovo filone:
le cave nel mirino degli investigatori

Domenica 11 Gennaio 2015 di Gianluca Amadori
"Sistema Mose", c'è un nuovo filone: le cave nel mirino degli investigatori
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Il prossimo filone dell’inchiesta della Procura di Venezia potrebbe svilupparsi sul fronte delle cave e di presunti contributi illeciti diretti ad amministratori e tecnici. Sono state le dichiarazioni di uno degli indagati dello scandalo relativo al cosiddetto "sistema Mose" ad illuminare la nuova pista, raccontando tutti i particolari a sua conoscenza. Gli investigatori si apprestano ad avviare i necessari accertamenti, al fine di cercare conferme e di acquisire possibili elementi di riscontro. L’impresa non è semplice: gli episodi finiti all’attenzione potrebbero essere piuttosto datati nel tempo e, come sempre accade nel caso di reati contro la pubblica amministrazione, le prove documentali sono poche, se non inesistenti. E risultano essenziali le confessioni di chi decide, magari anche per interesse personale, di rompere il meccanismo illecito e di illustrarne i meccanismi agli inquirenti. Confessioni sempre molto rare.



Il primo a offrire spunti su questo nuovo filone è stato Luigi Dal Borgo, l’imprenditore bellunese accusato di millantato credito nell’inchiesta sul Mose, per aver fatto credere a Piergiorgio Baita, tra il 2011 e il 2013, di poter ottenere informazioni riservate sull’inchiesta che la Guardia di Finanza stava conducendo sulle false fatture emesse dalla società di costruzioni Mantovani spa. Dopo essere finito in carcere, Dal Borgo ha accettato la scorsa estate di rendere alcuni interrogatori davanti ai pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, nel corso dei quali ha raccontato di essersi prestato ad aprire alcune cassette di sicurezza in una banca austriaca per conto di Enzo Casarin, all’epoca segretario dell’ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso, e di aver saputo da Casarin che le somme custodite all’interno di quelle cassette appartenevano a Chisso. L’ex assessore è uscito dall’inchiesta patteggiando la pena di due anni e sei mesi e 20 giorni di reclusione per il reato di corruzione.



Davanti ai magistrati Dal Borgo ha riferito anche degli stretti rapporti intrattenuti da alcuni cavatori con qualche amministratore pubblico, facendo riferimento a finanziamenti ripetuti nel tempo. Vero o falso? È quanto la Procura vuole accertare. Innanzitutto cercando conferme dell’esistenza di eventuali contributi, per poi verificare, in caso affermativo, se si sia trattato di versamenti regolari oppure no. E se tali versamenti fossero riferibili a specifici atti amministrativi.



La questione delle cave è una tra le più delicate e controverse. Da circa 30 anni il Veneto è in attesa di una legge e del relativo Piano regionale che regolamenti il settore per evitare che prosegua lo sfruttamento selvaggio del territorio. Invano. Per ben tre volte, dal 2003, il testo di legge approntato tra mille difficoltà in Regione è stato rispedito al mittente. L’ultima è accaduta pochi mesi fa, nel settembre dello scorso anno. Colpa della potente lobby dei cavatori, denunciano gli ambientalisti. Rinvio giustificato semplicemente della complessità della materia, si sono giustificati in Regione, auspicando che la normativa possa essere approvata prima della conclusione della legislatura, cioè entro la prossima primavera. Obiettivo alquanto ambizioso. Nel frattempo anche la Procura potrebbe iniziare a scavare.
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