Stufi di lavorare in nero. Talmente in nero che c'è chi li chiama collaboratori parlamentari, portaborse, chi segretari, chi addetti stampa. Questa mattina alla Camera, i portaborse sono scesi (idealmente) in piazza. Indicendo una conferenza stampa per dire basta.
Ad oggi funziona più o meno così: che il rapporto tra il politico e il collaboratore è esclusivamente
riconducile ad una trattativa tra le parti. Il che significa che c'è chi guadagna un tot e chi viene
pagato a nero, c'è chi ha un contratto di lavoro subordinato e chi un lavoro a chiamata, c'è chi può
contare sul pagamento degli oneri previdenziali e chi no. Ora, però dicono basta, appunto, e chiedono che il Parlamento italiano «cacci fuori tutti questi angoli grigi» e che il sistema sia regolamentato.
«Perchè questo vuol dire - ha spiegato in conferenza stampa Riccardo Malavasi, presidente dell'associazione italiana collaboratori parlamentari - investire sulla democrazia e non percorrere la strada
dell'antipolitica».
«Ad oggi è impossibile finanche sapere quanti siamo - ha detto Malavasi - e in un sistema non
regolamentato si possono creare irregolarità di lavoro. Noi non possiamo accedere alla Camera e al
Senato, non possiamo accedere e seguire le commissioni parlamentari, tutte cose che rendono il lavoro meno professionale».
«Sono stati approvati degli odg al bilancio 2013 e 2014; la commissione Lavoro ha iniziato l'analisi di disegni di legge ma la strada non ha funzionato - ha approvato - Una proposta di legge è stata approvata alla Camera ma poi si è fermata al Senato. Insomma nessuna risposta per una questione che gli uffici di Presidenza potrebbero risolvere».
Ed oggi una prima risposta è arrivata da Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, che ha assistito alla conferenza
stampa. «In commissione Lavoro la proposta è già incardinata - spiega - ho sospeso tutto in attesa dei
decreti attuativi dei jobs act. Appena arriveranno, penso tra 15 giorni, riprenderemo l'iter già
incardinato. Incontriamoci ma ho abbastanza fiducia che si vada avanti».
Ad oggi funziona più o meno così: che il rapporto tra il politico e il collaboratore è esclusivamente
riconducile ad una trattativa tra le parti. Il che significa che c'è chi guadagna un tot e chi viene
pagato a nero, c'è chi ha un contratto di lavoro subordinato e chi un lavoro a chiamata, c'è chi può
contare sul pagamento degli oneri previdenziali e chi no. Ora, però dicono basta, appunto, e chiedono che il Parlamento italiano «cacci fuori tutti questi angoli grigi» e che il sistema sia regolamentato.
«Perchè questo vuol dire - ha spiegato in conferenza stampa Riccardo Malavasi, presidente dell'associazione italiana collaboratori parlamentari - investire sulla democrazia e non percorrere la strada
dell'antipolitica».
«Ad oggi è impossibile finanche sapere quanti siamo - ha detto Malavasi - e in un sistema non
regolamentato si possono creare irregolarità di lavoro. Noi non possiamo accedere alla Camera e al
Senato, non possiamo accedere e seguire le commissioni parlamentari, tutte cose che rendono il lavoro meno professionale».
«Sono stati approvati degli odg al bilancio 2013 e 2014; la commissione Lavoro ha iniziato l'analisi di disegni di legge ma la strada non ha funzionato - ha approvato - Una proposta di legge è stata approvata alla Camera ma poi si è fermata al Senato. Insomma nessuna risposta per una questione che gli uffici di Presidenza potrebbero risolvere».
Ed oggi una prima risposta è arrivata da Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, che ha assistito alla conferenza
stampa. «In commissione Lavoro la proposta è già incardinata - spiega - ho sospeso tutto in attesa dei
decreti attuativi dei jobs act. Appena arriveranno, penso tra 15 giorni, riprenderemo l'iter già
incardinato. Incontriamoci ma ho abbastanza fiducia che si vada avanti».