Omicidio di Vetralla, «Matias morto non velocemente»

Martedì 7 Giugno 2022
In aula il medico legale Benedetta Baldari

«La morte non è stata rapida».

Il piccolo Matias è morto asfissiato e accoltellato dal padre. E l’ultimo respiro è arrivato solo diversi minuti dopo che era stato colpito con tre coltellate. Ma soprattutto dopo che bocca e naso erano stati chiusi con del nastro da pacchi. L’orrore dell’omicidio di Vetralla arriva in aula con la testimonianza del medico legale Benedetta Baldari.

Il 16 novembre dello scorso anno Mirko Tomkow, imputato davanti alla Corte d’assise per omicidio e maltrattamenti in famiglia, ha ucciso il figlio di 10 anni. Soffocandolo e colpendolo con un coltello da cucina. Il corpo del bambino, quando i carabinieri sono entranti nell’appartamento di stradone Luzi, era nel cassettone del letto matrimoniale. «Ho esaminato il corpo del bambino il 16 novembre quando ancora si trovava nel cassettone - ha spiegato il medico legale -. Aveva del nastro su naso e bocca e la lama del coltello completamente affondata nella gola.

Tre le lesioni da arma bianca, due cervicali e una nel torace. Dall’esame utopico è emerso che il nastro da pacchi è stato applicato su naso e bocca mentre il bimbo era ancora vivo. Così come le lesioni, tutte vitali». Mentre il medico legale elenca le ferite e si sofferma sulla “non rapidità della morte”, davanti alla Corte d’Assise scorrono le immagini dell’orrore. E scorrono davanti anche a Mirko Tomkow, seduto nell’acquario dell’aula. «Nello stomaco del bambino non c’era cibo». Matias quel giorno, prima di scoprire la presenza del padre in casa, era uscito da poco da scuola. Sapeva che la mamma gli aveva lasciato il pranzo pronto. Ma al cibo non è riuscito ad avvicinarsi.

Il padre, che il giudice del Tribunale di Viterbo, mesi prima aveva allontanato per maltrattamenti in famiglia lo avrebbe sorpreso in casa. Una colluttazione appena chiusa la porta e poi scotch e fendenti. Tomkow quel martedì sarebbe arrivato a Vetralla con l’intento di mettere a segno la sua vendetta. Da più di dieci giorni si trovava in un Covid hotel a Roma, dove era stato ricoverato dopo un tentativo di suicidio e la conseguente scoperta di essere positivo. Per raggiungere Vetralla prese tre treni e in uno di questi nascose il suo telefono cellulare.

«Abbiamo analizzato tutti i suoi spostamenti - ha spiegato un agente della polfer - grazie alle telecamere presenti nei treni e nelle stazioni. In un’immagine si vede chiaramente Tomkow che si alza dal suo sedile e raggiunge una postazione più lontana, qui nasconde il cellulare nel sedile e poi torna al suo posto». Che i gesti dell’imputato sia prima che dopo l’omicidio non fossero dettati da problemi psichiatrici ma da ferma lucidità lo ha spiegato anche il direttore del reparto psichiatrico di Belcolle, Angelo Bruschi.

«Il giorno del tentato omicidio - ha affermato - il suo intento era solo dimostrativo, per ottenere attenzione dalla famiglia. Un gesto meramente manipolato, mentre il giorno dell’omicidio l’atteggiamento era lucido. Non ha patologie a parte un cronico abuso di alcol». Nella prossima udienza, prevista per il 27 giugno, sarà chiamata a testimoniare la mamma del piccolo Matias, nonostante la parte civile abbia depositato un certificato medico che sottolinea come non sia in grado di rivivere quei momenti.

La difesa di Tomkow, avvocati Paolo Grazini e Sabina Fiorenti, ritiene necessaria la sua deposizione. «E’ stata un’udienza emotivamente forte - ha affermato al termine l’avvocato di parte civile Michele Ranucci - . La posizione della difesa sulla necessità di ascoltare la mamma è discutibile e sicuramente non condivisibile. Non è in grado di ripercorre quanto accaduto e trovo questa richiesta inaccettabile».

Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 11:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA