La ragazza del Forte, comprato per tremila lire: «Qui ora comando io»

Mercoledì 17 Luglio 2019 di Vittorio Pierobon
Ilaria Panozzo
La singolare storia della famiglia che nel 1942 acquistò per tremila lire dallo Stato la fortezza Corbin sull'Altopiano Ilaria Panozzo: «Quando il nonno la prese era un rudere saccheggiato, la utilizzava per far pascolare le sue mucche»

LA STORIA
Il comandante del forte si chiama Ilaria, una bella e spigliata ragazza di 32 anni, che può contare su un esercito piuttosto ristretto: papà Severino, mamma Costanza, il fratello Federico e il marito Marco. La famiglia Panozzo da tre generazioni ha preso possesso di forte Corbin - una delle tante fortificazioni disseminate un secolo fa  sull'Altopiano di Asiago per resistere all'offensiva austroungarica - trasformandolo in un museo a cielo aperto ricco di suggestione. Una delle più autentiche testimonianze della Grande Guerra.
Erano gli inizi del Novecento, quando l'Italia preparò una linea difensiva lungo il confine nord-est: un forte ogni sei chilometri circa, la distanza della gittata dei cannoni. Tutto il territorio era sotto tiro. Il Corbin, edificato tra il 1906 e il 1914, era una specie di gioiello architettonico, una sorta di cittadella medioevale, capace di ospitare fino a trecento uomini. Era stato progettato per resistere ad un assedio con autosufficienza idrica, forno, cucine e grandi magazzini per le scorte alimentari. Era armato con cannoni che sparavano obici da 149 millimetri. Nei piani del generale Cadorna, la linea di fortificazione doveva resistere una ventina di giorni, il tempo per ammassare truppe dal resto dell'Italia. Ma non andò così. Non era stato calcolato che gli austriaci portassero sui monti cannoni di calibro doppio dei nostri, con gittata di 14 chilometri. Pochi giorni dopo l'entrata in guerra, il 12 giugno 1915, venne centrato forte Verena, luogo simbolo, perché da lì era partito il colpo di cannone italiano. Il Corbin venne raggiunto da ben 57 tiri.
L'INGLORIOSA RITIRATANon restava che un'ingloriosa ritirata. I cannoni vennero smontati e sostituiti con tronchi d'albero per far credere al nemico che la difesa fosse ancora in atto. Per rendere più credibile la messinscena venne lasciato un pugno di soldati, con il compito di sparare un colpo ogni tanto, con l'unico cannoncino rimasto. Per un anno il trucco funzionò. Poi il Corbin fu preso dagli austriaci. Tra i difensori del forte c'era Carlo Stuparich, il patriota triestino che, pur di non cadere nelle mani nemiche, si uccise.
Volendo giudicare con obiettività, quel forte fu un'opera inutile, costata una cifra enorme e mai veramente utilizzata. Talmente inutile che lo Stato, nel pieno della seconda Guerra Mondiale, mise in vendita il Corbin assieme ad altri forti per fare cassa. Più che un forte, era un ammasso di macerie, perché tra le due guerre la struttura venne saccheggiata dai recuperanti, spogliata di tutto il metallo, a cominciare dalle sei cupole che proteggevano i cannoni, e demolito con l'uso di esplosivo per estrarre il ferro del cemento armato.
Siamo nel 1942, e comincia la storia della famiglia Panozzo. Il nonno di Ilaria, Ferruccio, che all'epoca aveva 29 anni, abitava poco distante dal forte, nel territorio di Treschè Conche, frazione di Roana. La famiglia aveva un po' di campi e qualche bestia.
L'INSOLITO ACQUISTO«Quando ha saputo che il Corbin era in vendita papà ci ha fatto un pensierino - racconta Severino Panozzo, 68 anni, una vita divisa tra il lavoro alle Poste a Marano Vicentino e la cura del forte - Era l'ideale per tenere le bestie, c'era anche la vasca per abbeverarle. Non costava molto, 3mila lire, circa 15mila euro di oggi, ma per mio padre erano tanti soldi. Il caso volle che, proprio in quei giorni, lo Stato abbia pagato a papà un debito arretrato degli anni 1935-36 per aver lavorato in Dalmazia per costruire fortificazioni. Un segno del destino». Ma per altri quarant'anni quello fu il regno delle vacche al pascolo: 22mila metri quadrati abbandonati ed ancora esposti ai saccheggi.
L'Altopiano di Asiago per decenni è stato battuto dai recuperati, prima alla ricerca di metallo da fondere, poi, con la crescita di una cultura attenta al recupero del passato, di cimeli da vendere. «Qui Ermanno Olmi ha girato numerose scene del suo film I recuperanti - racconta Ilaria - Era un'attività molto diffusa anche se chi faceva quel lavoro non veniva visto di buon occhio». Ora si direbbe sciacalli, una volta erano solo dei poveracci, rovinati dalla guerra, che cercavano di trarre un utile anche dalle bombe inesplose e dalle gavette abbandonate. La vita del forte è cambiata quando Severino ha deciso di avviare i restauri. Fine anni Settanta.
E INIZIA IL RECUPERO«Il primo obiettivo - spiega - era quello di sistemare qualche locale per ricavare una casa per le nostre vacanze. Mio suocero mi ha dato una grossa mano, abbiamo rifatto il tetto, sistemato le stanze. Ma non c'era corrente elettrica e nemmeno acqua potabile. Però era bellissimo vivere in mezzo alla natura. Ci siano innamorati del forte».
L'idea del museo è nata quasi per caso. «La gente arrivava in passeggiata - ricorda mamma Costanza - e ci chiedeva se si potevano vedere i resti del forte. Qualcuno chiedeva anche da bere, altri se avevamo un panino. Abbiamo capito che si poteva ricavare anche qualcosa per recuperare le molte spese di restauro. Abbiamo chiesto le autorizzazioni e studiato un percorso di visita».
Ilaria, assieme al marito Marco, ha scelto di dedicarsi a tempo pieno al museo. Laureata in lettere, con una tesi sui luoghi della memoria della Grande Guerra, ha fatto della conservazione del forte la sua missione. «Si può dire che io sia nata qui - scherza la ragazza - ho visto rinascere il Corbin grazie al lavoro di papà e del nonno materno e intendo proseguire: c'è ancora moltissimo da fare, abbiamo recuperato solo una parte dei locali. Vorrei riposizionare le cupole di copertura. Quelle originali erano spesse 16 centimetri per resistere alle bombe, a me basterebbe farle di pochi millimetri per proteggere gli interni dall'acqua. Ma servono soldi, noi ci finanziamo solo con le entrate dei biglietti. E il prezzo di accesso, per nostra precisa volontà, è molto basso, non vogliamo speculare, ci teniamo che la gente venga e capisca cos'è stata la guerra. Una delle sale del museo è dedicata a Matteo Miotto, un giovane alpino vicentino morto nel 2010 in Afghanistan. Il nostro vuole essere un monito contro tutte le guerre». 
UN'INTERESSANTE VISITALa visita del forte è di grande interesse. Un percorso agibile a tutti consente di entrare nei luoghi dove vivevano i soldati, di vedere le postazioni da cui sparavano, di attraversare le gallerie che consentivano ai militari di spostarsi senza pericoli. Molto è stato restaurato, ma altre parti, devastate da bombe e recuperanti, avrebbero bisogno di interventi massicci. Ogni luogo è descritto con cartelli chiari in due lingue. E alla fine c'è un piccolo, ma ricco museo dove sono conservati un po' di cimeli sfuggiti ai saccheggi.
«Chi viene da noi - spiega Ilaria - deve tornare a casa con un po' di cognizioni su cosa è stata la guerra sull'Altopiano». E per farsi capire meglio ha anche scritto un libro dedicato al forte. I visitatori sono in costate crescita. Tra i primi a scoprirlo Alberto Angela. «È venuto nel 1997 con una troupe per girare un servizio per Superquark. La sua dedica è incorniciata: Forte Corbin un autentico gioiello. Chissà cosa direbbe se venisse oggi!». Papà Severino guarda la figlia con orgoglio, il forte è in buone mani. «Mio padre Ferruccio, quasi sicuramente, ha contribuito alla distruzione del forte. Anche lui ha fatto il recuperante, come tutti. Io e la mia famiglia stiamo risarcendo l'Altopiano».
Vittorio Pierobon
(vittorio.pierobon@libero.it)
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