Crac Popolare di Vicenza: «Vogliono il cadavere di una banca italiana»

Domenica 14 Aprile 2019 di Cristiano Gatti -Ario Gervasutti
Crac Popolare di Vicenza: «Vogliono il cadavere di una banca italiana»
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Mentre i vicentini incattiviti si scavano la fossa a vicenda, trascinandosi sempre più giù nel ring di fango, sopra le loro teste si sta giocando un'altra partita. Più sofisticata, più raffinata, ma letale. La partita vera. Anche lontano dai saloni del tutti contro tutti, il destino della Popolare, in definitiva, si decide proprio in quegli stessi giorni infernali, tra il 28 agosto e il 4 settembre del drammatico 2015.
() La gente, là fuori, non parla d'altro. Ne parla la stampa locale, ne parla la stampa nazionale, ne parlano gli inermi correntisti incrociandosi nei negozi della spesa. Questa Popolare di Vicenza è ormai sulla bocca di tutti. Una volta era vanto e prestigio, adesso è paura e disprezzo. Anche in chi ci capisce poco, il marchio evoca dubbi, diffidenza, risentimento. Tanto clamore e tanto rancore per una Banca? In questo periodo, in questa terra, la Banca è il centro di gravità per innumerevoli vite, nel bene e nel male. In passato era mamma e zia, nonna e balia, in questi mesi si è trasfigurata in qualcosa di mostruoso, segnata da rughe penose, con insospettati artigli pronti a graffiare. Era tranquillità, è angoscia. L'illusione del benessere sicuro è diventata terrore di rovina imminente. In tutto questo, i banchieri riveriti e celebrati si ritrovano bersagli da strada, icone del male assoluto, come volgari imbroglioni. Banchiere sinonimo di ladro. Il clima è pesante, gravido di rabbia e di panico. Persino di morte. La cronaca racconta dei piccoli impresari appesi alle travi dei loro solai, vittime dei debiti, degli sguardi afflitti nelle loro famiglie, di quel peso insopportabile e venefico della vergogna personale. ()
L'EPOCA D'ORO L'eco di questo flagello moderno che è la caduta delle banche, suprema disillusione nell'epoca d'oro della finanza, è ancora più assordante proprio qui, nella Nordest Valley, abituata troppo bene ai ritmi forsennati dello sviluppo e del benessere. La banca che va a rotoli non fa bene a nessuno in nessun luogo, ma in questa terra di lavoro e di palanche provoca una pandemia incurabile. Il contagio parte dai forzieri svuotati e arriva capillarmente nelle singole abitazioni, seminando gli effetti collaterali della disperazione. Se la nuova vita è questa, i vigili urbani dell'Europa non fanno nulla per attenuare almeno un poco il caos dell'ingorgo. La Bce non usa più precauzioni e mezze misure, ci va giù pesante. Spiccia e intransigente o chissà che altro chiede a Francesco Iorio di rilanciare la Banca, ma allo stesso tempo gli impone di portare i Total Capital Ratio all'8 per cento. Sembra un dettaglio troppo noiosamente tecnico, ma in questo elemento è racchiusa tutta la sostanza dell'impresa disperata. () L'obiettivo è rendere le banche sempre più sicure: più alto è questo valore, più la banca è solida. In teoria, è tutto così bello e rassicurante. Ma nella vita è anche tutto relativo: in questo caso, bisogna vedere a chi si chiede si impone di obbedire a simili parametri. Nel caso Popolare Vicenza, è davvero un'impresa titanica. Praticamente impossibile. Eppure, Iorio e la sua squadra obbediscono. Ci provano. A dare loro una mano, più che altro nella difficile tessitura dei rapporti con le altre banche, c'è ancora lui, per l'ultima volta: Gianni Zonin. Il presidente, per come s'è messa la partita, per come si sente dentro, ha comunque già deciso di lasciare. Ma questo ultimo atto è una pura questione di orgoglio e di responsabilità. Verrebbe anche la tentazione di usare il termine dignità. Non vuole passare la mano, dopo vent'anni di successi, abdicando nel momento peggiore. Sa che sarebbe letta come una fuga vergognosa. Non lo può sopportare. La storia comincia a correre. Mette il fiatone a tutti quanti. Ritmo forsennato, senza pause e senza distrazioni. Bankitalia chiede a Iorio di deliberare il 28 agosto, subito dopo l'approvazione del bilancio, la richiesta di un prestito da 200 milioni. ()
La disponibilità a concedere i soldi che servono è di cinque grandi banche (Mediobanca, Deutsche Bank, JP Morgan, Unicredit e Bnp Paribas), tecnicamente tutte pronte a sottoscrivere l'obbligazione Popolare Vicenza per 200 milioni. È ufficialmente quanto basta per mettersi in riga con i fetentissimi parametri. È la garanzia richiesta dalla Bce tramite Bankitalia. Largheggiando, altri 50 milioni sono poi pronti anche da parte di Intesa Sanpaolo, caso mai fosse necessario. Che strano: tutti parlano della Popolare di Vicenza come fosse lebbra ed ebola, ma casualmente nel sistema c'è ancora tutto questo interesse, con le banche più importanti pronte a concedere prestiti. ()
ZAMPE ALL'ARIA «Ma allora lei, la Nouy, ci vuole mandare zampe all'aria...». Sudore freddo. Preoccupato, nel pomeriggio di questo interminabile 28 agosto, Iorio chiama Carmelo Barbagallo, capo della Vigilanza di Bankitalia. Chiede chiarimenti, spera in qualche rassicurazione. E quello difatti lo tranquillizza, perché «questa cosa mi sembra assolutamente insensata e adesso la riferirò anche a Panetta (vicedirettore di Bankitalia, nda)». Iorio si lamenta: «Credevo di essere al riparo da qualsiasi rischio». E Barbagallo: «Mi sembra più che altro una provocazione. Una posizione così della Bce mi sembra folle. Se fa un'idiozia del genere, la Bce si squalifica in una maniera mortale. Comunque Panetta parteciperà al Consiglio di sorveglianza, il Supervisory Board, e avrà modo di esporre tutti gli aspetti positivi della Banca. Anche il Governatore è allineato e al corrente». ()
LA MANOVRA BRECCIAAlle 22.17 del 29 agosto, nonostante l'ora tarda, Iorio richiama Gatti, capo degli ispettori Bce, per aggiornarlo. Gatti non è sorpreso: «So già tutto. C'è stata una manovra breccia della signora Nouy, di una scorrettezza unica. Sono costantemente in contatto con i colleghi di Roma, che faranno il possibile. La Nouy è molto fiscale. La sensazione è che si voglia il cadavere di una banca italiana». Il termine ventilato è proprio questo: cadavere. La Bce vuole uno scalpo. () 
L'URAGANO Non sapendo più a quali santi votarsi, con quell'uragano che sembra profilarsi guardando a Nord, Iorio chiama anche Zonin. Lo informa per filo e per segno dell'atteggiamento intransigente assunto dalla Nouy. E gli trasferisce una sua idea precisa: «Secondo me qui c'è più un tema politico di alto livello. Al limite bisogna andare a Roma. Ma non in Bankitalia...». Zonin, che è uomo di mondo, capisce subito l'antifona: «Ricevuto. Sto già fissando un appuntamento per metà settembre». «Ma è troppo in là, presidente. Prenderanno la decisione venerdì 4». Il 31 agosto, il vicedirettore generale di Bankitalia, Fabio Panetta, chiama Iorio e gli dice quello che tutti hanno già intuito: «La situazione è dovuta a un capriccio della Nouy. Domani vedrò Matteo Renzi e gli dirò che se questa cosa passa, farò una dichiarazione pubblica per dire che la decisione è del tutto inaccettabile. Dopodomani dovrò incazzarmi con questa... È una cosa fatta per dare un segnale alle banche italiane, che effettivamente ne hanno fatte, purtroppo, di tutti i colori... Perché voi siete uno, e poi c'è il vostro dirimpettaio, Veneto Banca, poi c'è quell'altro, poi c'è Genova... E quando lei dice mi sono rotta i coglioni di avere a che fare con persone così, non le si può dare torto. Ma una cosa è la vendetta, che non appartiene a chi fa Vigilanza, altro è l'applicazione delle regole». Non c'è verso. Neppure la pressione di Bankitalia sembra fare breccia nel cuore della signora, che vuole dare un segnale, che vuole un cadavere. ()
LO SCAMBIO Il 2 settembre, Giorgis avverte Iorio con parole avvilenti: «La signora va per la sua strada». Il 3 settembre, Panetta confida sempre a Iorio di sperare ancora in una decisione comunque positiva: «Sto andando al Supervisory board. La faranno nera, a questa... Mi raccomando, però: io ci ho messo la faccia su questo, perché credo che stiate facendo un buon lavoro. Ma lei ha visto le polemiche sulla stampa, quello che sta succedendo. Qui bisogna fare un lavoro per bene: capire chi sono i disonesti dentro quella Banca e cacciarli a calci nel culo. Non bisogna sbagliare, perché ci sono diversi casi che mi costringono ad andare lì a fare battaglie... Però uno fa dieci battaglie e due inevitabilmente le perde». Iorio lo implora: «Non noi, però, dottore». Panetta poi sibila: «Senta un'altra cosa... Il Consiglio di amministrazione... Non è che io possa andare lì a dire aspettiamo sei mesi, otto mesi... O questi sono un branco di deficienti, o di collusi, o tutte e due le cose. Quindi, secondo me, c'è solo da scegliere il momento in cui questi vengono mandati via...». Il messaggio è chiarissimo: Bankitalia cercherà di mettere sul piatto le teste del Consiglio di amministrazione, in cambio di una posizione più morbida della Nouy.
 
Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 10:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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