Vaticano, torna il nodo dell'Ici: l'Ue chiede al governo di far pagare gli arretrati alla Chiesa

Già nel 2018 una sentenza della Corte europea di Giustizia imponeva al governo italiano di chiedere alla Chiesa di versare l’Ici non pagata dal 2006-2011

Venerdì 3 Marzo 2023 di Franca Giansoldati
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L'ingarbugliato nodo relativo alle imposte sugli immobili del Vaticano che si trascina da più di un decennio oggi è riaffiorato con la richiesta dalla Commissione Ue di recuperare i benefici di esenzione Ici di cui avevano goduto, tra il 2006 e il 2011, la Chiesa cattolica e altri enti non commerciali sulle proprie proprietà immobiliari.

Già nel 2018 una sentenza della Corte europea di Giustizia imponeva al governo italiano di chiedere alla Chiesa di versare l’Ici non pagata dal 2006-2011.

Il ministero dell’Economia dell'epoca confermava che si trattava solo di trovare un accordo con il Vaticano. La questione implicava alcuni passaggi successivi visto che alla Commissione per la concorrenza di Bruxelles spettava il compito di recepire la sentenza e farla applicare ai Comuni (titolari dell’imposta).

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Nel 2012 Bruxelles aveva scelto di non ordinare all'Italia di recuperare gli aiuti illegali perché le banche dati fiscali e catastali non consentivano l'identificazione dei beneficiari. Nel 2018 la Corte di Giustizia aveva parzialmente annullato questa decisione, ritenendo che la Commissione europea avrebbe dovuto valutare se esistessero modalità alternative per il recupero, anche solo parziale, dell'aiuto per gran parte ai destinatari in immobili della Chiesa. Nella sua decisione odierna, l'esecutivo comunitario anche se ammette la difficoltà per le autorità italiane ad identificare i beneficiari delle esenzioni, non è sufficiente per escludere la possibilità di ottenere almeno un recupero parziale dell'aiuto. Ad esempio, viene evidenziato, «l'Italia potrebbe utilizzare i dati delle dichiarazioni presentate ai sensi della nuova imposta sugli immobili e integrarli con altri metodi, comprese le auto-dichiarazioni». Bruxelles chiarisce inoltre che «il recupero non è richiesto quando gli aiuti sono concessi per attività non economiche o quando costituiscono aiuti 'de minimis'». 

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Per il Vaticano è una nuova doccia gelata. «Gli enti che svolgono attività non economiche come quelle strettamente religiose, non saranno interessati dall'ordine» di recupero degli aiuti di Stato, «tuttavia quando tali attività hanno natura economica il fatto che siano svolte da enti non commerciali non preclude la disciplina europea degli aiuti di Stato». 

I tempi in ogni caso non saranno di certo brevi e lo Stato finora non è sembrato avere alcuna intenzione di reclamare per intero i 4,8 miliardi non versati. L’ipotesi di massima che era stata fatta nel 2018 era di offrire alla Chiesa una via d’uscita di carattere concordatario. Roma per esempio potrebbe chiedere il versamento di una aliquota forfettaria (circa il 20-25% sull’ammontare del debito) depurata di interessi e sanzioni di mora e legali.
A suo tempo era stato calcolato che alla Chiesa sarebbe venuto a costare circa un miliardo di euro.

 

Per le casse del Vaticano sarebbe un tracollo certo, considerando che i conti generali non vanno tanto bene, come del resto ha messo in evidenza la Segreteria dell'Economia della Santa Sede. In questi giorni Papa Francesco ha firmato un rescriptum per cambiare le regole finora vigenti sugli affitti agli appartamenti dati in locazione ai cardinali e ai vescovi. In un colpo ha cancellato i privilegi sulle pigioni calmierate imponendo, in via graduale, man mano che scadranno i contratti, dei rinnovi a prezzi di mercato. La maggior parte dei cardinali di curia però non potrebbe permettersi di pagare affitti a costi di mercato per appartanenti di 300 metri quadri in Via della Conciliazione. 

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