Benedetto XVI, il card. Zuppi: «Dualismo nella Chiesa? Nelle famiglie si discute. Ratzinger resterà nella storia»

Il presidente della Cei: «Santo subito? Che sia stato un sant'uomo non c'è dubbio»

Venerdì 6 Gennaio 2023 di Franca Giansoldati
Benedetto XVI, il card. Zuppi: «Dualismo nella Chiesa? Nelle famiglie si discute. Ratzinger resterà nella storia»

Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, cosa rimarrà nella Chiesa italiana del pontificato di Benedetto XVI durato otto anni, dal 2005 al 2013?
«Resteranno le sue parole, i discorsi, le omelie, le riflessioni rivolte ai fedeli durante gli appuntamenti del mercoledì nell'Aula Nervi.

Penso alle belle catechesi dedicate ai santi: sono un riferimento importante. Spesso mi capita di tornarle a leggere volentieri, sono fonte continua di ispirazione. E' difficile non apprezzare il modo in cui Ratzinger approcciava i grandi temi di fede o i tanti problemi sui quali continuiamo e continueremo a misurarci».

A cosa allude?
«Faccio riferimento all'individualismo e al relativismo. Questa deriva egoistica costituisce il nodo cruciale sul quale continueremo a lavorare. Nel suo pensiero, inoltre, Ratzinger chiedeva di rafforzare una Chiesa affinché non avesse paura ad annunciare il Vangelo, preparando l'uomo ad un incontro non tanto con qualcosa, ma con Qualcuno, con Dio. Nella enciclica sulla fede (che rappresenta la cerniera tra il pensiero di Ratzinger e quello di Francesco) è racchiuso un passaggio chiave: che dobbiamo rimetterci in viaggio con il Vangelo».

Il funerale del Pontefice teologo significa la fine del vecchio e, contemporaneamente, l'inizio di una Chiesa nuova?
«La riforma della Chiesa è un itinerario, un cammino. Certamente non è una cosa facile: la trasmissione del patrimonio di fede non significa buttare il vecchio, semmai è la trasformazione del vecchio, altrimenti tutto si ridurrebbe a mero conservatorismo e questo risultato non avrebbe futuro. La trasformazione, invece, è qualcosa che soffia assieme allo spirito della Parola, senza tralasciare le nostre radici, la tradizione. Francesco sta avanzando sullo stesso solco».

Ratzinger usava spessissimo la parola gioia, che privilegiava rispetto al termine felicità. C'era una ragione?
«Oggi si parla tanto di felicità che ormai è un contenitore quasi svuotato di significato. La gioia alla quale fa riferimento Benedetto XVI nelle sue omelie ha che fare con la beatitudine. La felicità del resto resta uno stato d'animo legato al contingente, forse è solo un attimo. Mentre la gioia rispecchia una dimensione interiore potente, duratura e capace di affrontare anche il dolore, attraversando le avversità della vita, senza mai smettere di vivere la letizia del cuore. Mi vengono in mente le parole di San Francesco: beato chi soffre. Il santo di Assisi percepiva uno stato di letizia, una gioia che tutti noi dobbiamo cercare nel dialogo e nell'incontro con Dio».

Alle esequie erano presenti Capi di Stato, presidenti, re e Regine. Cosa ha insegnato all'Europa Benedetto XVI?
«L'Europa perde certamente un grande europeo. Da Papa ha compiuto gesti che resteranno impressi nei libri di storia e che dobbiamo conservare. Per esempio quando ha varcato la porta del campo di concentramento di Auschwitz, pronunciando da tedesco una meditazione cristallina indelebile. E poi l'aver dato risalto ai martiri del nazismo, figure che venivano considerate il rifiuto della nazione mentre erano la parte migliore e brillavano come stelle del mattino. Penso sia quella la sua consapevolezza europea. In fondo lui ha voluto sottolineare che l'Europa è nata da questa tragedia immensa. Mi viene anche in mente il discorso fatto a Strasburgo e i diversi incoraggiamenti ai cristiani a non perdere mai di vista l'umanesimo europeo».

 

Due Papi in Vaticano vestiti di bianco, uno progressista e l'altro conservatore, supportati da due tifoserie. Ci hanno fatto persino un film. Con la scomparsa di Ratzinger finirà questo dualismo?
«La Chiesa è sempre stata animata al suo interno da sensibilità diverse. Sin dall'inizio. Difficile dimenticare, per esempio, le discussioni che c'erano tra gli apostoli Paolo, Pietro o Giacomo. Si scontravano su come affrontare i gentili'. Nelle famiglie si discute spesso e le discussioni non solo sono fisiologiche, ma sono un indicatore di salute. La storia del cristianesimo è costellata da figli che si affrontano, a volte aspramente. Il problema è cercare sempre di arrivare all'unità, alla comunione. Se non vi fosse questa dinamica sana, vi sarebbe la stagnazione del pensiero unico e non sarebbe cosa buona. Avere sensibilità differenti e arrivare all'unità è il cammino che si è sempre fatto e si sta facendo anche ora. Tra Ratzinger e Francesco vi è una cerniera costituita da una grande visione di continuità».

Anche stamattina (ieri per chi legge nrd) la gente urlava: Santo subito...
«Che sia stato un sant'uomo non c'è dubbio. Penso che la sapienza della Chiesa saprà come trovare tempo per maturare il suo discernimento».

Ultimo aggiornamento: 07:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA