Città del Vaticano – Al netto delle cose che continuano a non tornare in questa storia ingarbugliata, il vero nodo da sciogliere nel maxi processo per l'immobile di lusso a Londra, è capire come mai il Vaticano nel 2018 decise di strapagare il finanziere molisano Gianluigi Torzi con 15 milioni di euro per rientrare in possesso delle 1000 azioni con diritto di voto che davano il controllo sul palazzo di Sloane Avenue, lo sfortunato investimento immobiliare finanziatro con i fondi riservati della Santa Sede.
L'interrogatorio di Capaldo ha nuovamente fatto affiorare uno spaccato imbarazzante della curia, caratterizzato da rapporti di sfiducia, opachi, al punto che il Sostituto monsignor Pena Parra fu costretto a chiedergli di fornire il numero di telefono del direttore dello Ior, Gianfranco Mammì a Gianni Oriente, un misterioso personaggio vicino ai servizi segreti, con l'obiettivo di farlo controllare. In quel periodo Pena Parra aveva fatto richiesta allo Ior di un mutuo di 150 milioni di euro per chiudere la disgraziata partita immobiliare ma il direttore Mammì si rifiutò di erogarlo.
Nella memoria depositata dallo stesso Pena Parra si legge che se lo Ior avesse concesso il prestito (che negò senza fornire motivi) avrebbe consentito alla Santa Sede «di smantellare la struttura societaria in Jersey, costituitasi precedentemente» e che si era rivelata un autentico bagno di sangue. Un particolare che era venuto a galla anche con l'interrogatorio di monsignor Mauro Carlino (uno dei dieci imputati) tuttavia è proprio da Capaldo che l'episodio si è arricchito di ulteriori particolari. «C'era la richiesta di avere un mutuo da parte dello Ior. Il Sostituto mi chiese di dare il numero di Mammì a Gianni Oriente. Gli inviai il numero che ricevetti da Carlino, segretario particolare del Sostituto, anche perchè io non lo avevo tra i miei contatti. Io non sapevo perché serviva quel numero di telefono poi seppi che il Sostituto voleva monitorare Mammì e comprendere le ragioni per le quali si rifiutava di erogare il mutuo di 150 milioni di euro» ha detto Capaldo. Giovanni Ferruccio Oriente era stato un ex agente e aveva fatto anche da autista a Riccardo Malpica, capo del Sisde agli inizi degli anni Novanta.
L'ingegner Capaldo ha, inoltre, spiegato che in Segreteria di Stato ha sempre collaborato senza problemi, rapportandosi con Carlino e con Tirabassi, mentre con monsignor Alberto Perlasca, il principale accusatore del cardinale Becciu ha avuto momenti di frizione e scontro. Il giorno che fu firmata la transazione con Torzi e fu pagato con i famosi 15 milioni di euro, Capaldo ricevette sul telefonino un messaggio di Perlasca: gli inviò la foto di una torta composta da tante banconote. «Gli ho risposto subito: a me i soldi non hanno mai fatto gola, per me è l'onestà che importa».
In aula oggi erano presenti, oltre il cardinale Becciu (che oggi al Tribunale di Sassari ha perso la causa con l'Espresso di risarcimento danni), monsignor Carlino e anche l'altro finanziere imputato in questa vicenda, Raffaele Mincione il quale, attraverso una dichiarazione spontanea, ha confutato la ricostruzione delle fasi iniziali dell'investimento fatta da Capaldo. Il valore dell'immobile di Londra (che nel frattempo il Vaticano ha venduto per una cifra mai resa nota) a suo parere va rapportato all'andamento del mercato che in quel momento era alto.
Successivamente, da metà maggio 2019, Capaldo fu nominato 'nominee director' della società di Jersey che aveva la gestione dell'immobile, attraverso la catena di società 60SA. «Non ho fatturato un centesimo alla Segreteria di Stato dal 16 dicembre a quando sono stato nominato direttore della 60SA». L'esame di Capaldo, venuto appositamente da Londra, proseguirà da parte delle difese in una data ancora da destinarsi. Domani comincerà l'esame del testimone-chiave, monsignor Alberto Perlasca, ex capo dell'Ufficio amministrativo.
Al termine dell'udienza di oggi, il presidente Giuseppe Pignatone ha letto una lunga ordinanza in cui ha respinto quasi integralmente le eccezione di nullità dei verbali resi in istruttoria da Perlasca e la sua utilizzabilità come testimone (il testimone era stato dapprima indagato e poi la sua posizione archiviata): inutilizzabile solo in parte il suo interrogatorio del 31 agosto 2020. Una curiosità: nel motivare le sue decisioni di rigettare le eccezioni di nullità di interrogatori in cui sarebbe stata necessaria la presenza di un legale, Pignatone ha fatto riferimento, in via giurisprudenziale, all'utilizzo che fu dichiarato legittimo di certe dichiarazioni rese durante gli 'anni di piombò da esponenti delle Brigate Rosse