Papa Luciani appena eletto si autodefiniva «un povero cristo» e si raccomandava ai cardinali: «Aiutatemi a regnare»

Martedì 17 Maggio 2022 di Franca Giansoldati
Papa Luciani in visita a una malata, credit Fondazione Giovanni Paolo I

Città del Vaticano - «La prima roba che ho fatto, appena fatto Papa – ho avuto un po’ di tempo – è stato prendere in mano l’annuario, studiarlo un po’: gli organismi della Santa Sede, tanto sono ignorante e distante dal conoscere bene gli ingranaggi della Santa Sede. Spero che mi aiutiate». L'imminente beatificazione di Albino Luciani, il pontefice che regnò solo 34 giorni perché stroncato da un attacco cardiaco nella tarda serata di giovedì 28 settembre 1978 nella sua stanza del Palazzo Apostolico, come appurarono i medici che redassero il bollettino, sta portando alla luce parti di discorsi finora inediti perché mai trascritti nella forma in cui venivano pronunciati. Come per esempio la sua prima allocuzione ai cardinali subito dopo l'elezione.

Giovanni Paolo I si definiva un «povero cristo» e chiedeva ai cardinali aiuto nel governo della Chiesa, sentendosi impreparato a questo compito: «Io in un certo senso sono dolente di non poter ritornare alla vita dell’apostolato spicciolo, che mi piaceva tanto. Ho avuto sempre diocesi piccole. Vittorio Veneto, diocesi piccola; la stessa Venezia, grande per storia, ma è piccola – quattrocentotrentamila abitanti – quindi il mio lavoro era: ragazzi, operai, malati, visite pastorali. Non potrò più fare questo lavoro, ma voi potete farlo. Non dovete però pensare soltanto alla vostra diocesi».

Si sentiva quasi inadeguato, tanto che in un successivo passaggio, ripeteva di sentirsi smarrito: «Abbiate pietà del povero Papa nuovo, che veramente non aspettava di salire a questo posto. Cercate di aiutarlo e cerchiamo insieme di dare al mondo spettacolo di unità, anche sacrificando qualche cosa alle volte; ma noi avremmo tutto da perdere se il mondo non ci vede saldamente uniti». Il linguaggio usato con i cardinali era stranamente colloquiale per l'epoca, difficilmente in curia i pontefici fino ad allora si erano affidati a discorsi a braccio o a manifestazioni così palesi delle proprie emozioni più intime. Si trattava sicuramente di una grandissima novità.

In un bellissimo libro pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana - “Il Magistero Testi e documenti del Pontificato” pp. 472, euro 29 – si completa in questo modo il ritratto di una figura assai sfaccettata e molto più complessa di quel che sembra.

La curatrice del volume, Stefania Falasca, vice presidente della Fondazione intitolata a Giovanni Paolo I, studiando una montagna di carte, sin dall'inizio ha sempre incoraggiato ad andare al di là del clichè del “Papa del sorriso”. A Luciani, infatti, va dato il merito di avere introdotto l'arte di comunicare senza fronzoli, di esporre agli altri la verità evangelica che lui stesso viveva.

Papa Francesco – che firma la prefazione del volume – riconosce che il suo predecessore aveva «la fede del popolo cristiano, a cui egli apparteneva, e questo gli ha consentito di rivolgere uno sguardo profetico sulle ferite e i mali del mondo (...) Lo testimoniano, ad esempio, le numerose espressioni sparse nei suoi interventi pubblici». Nel libro un ampia sezione è poi dedicata agli appunti personali che Luciani vergava a fine giornata su una agenda. Una vera miniera. A volte sono pagine da decifrare, quasi criptiche, altre volte ricche di commenti inattesi. Il pontefice veneto che per primo parlò del Creatore come madre e non solo come padre, anticipando di fatto il dibattito contemporaneo sull'asterisco da far seguire alla parola Dio perchè più inclusivo, si rivelava al mondo per essere uno spirito libero, sebbene ancorato alla dottrina conciliare («il Concilio è un balzo in avanti ma con dottrina certa e immutabile») risultava indubbiamente modernissimo nella intuizione degli orizzonti comuni.

Citava Bernanos ma pure Trilussa, figura che in passato faceva storcere il naso ai teologi per certe sue licenze, e poi Peguy, Nietzsche, Carducci per il quale nutriva ammirazione per l'arte dell'insegnamento. Si arrovellava poi su domande eternamente aperte, per esempio sul dolore innocente che nemmeno nella Bibbia trova risposta. Ma il suo cuore restava ancorato al popolo, alla sua Venezia, ai problemi della città lagunare. In una pagina spunta un cenno a Sirma, all'epoca teatro di una vertenza sindacale senza fine in relazione alle lotte sindacali in corso a Porto Marghera. Verosimilmente un riferimento al catechismo della Chiesa, all’ultimo dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: «Defraudare la giusta mercede agli operai».

Infine, sempre nella allocuzione ai cardinali, la parte inedita più ricca di spunti, mostra la lungimiranza di Luciani sulle comunicazioni, ritenute un canale fondamentale per la Chiesa. «Il cardinal Mercier diceva: Se venisse san Paolo, farebbe il giornalista. Pierre l’Ermite de La Croix di Parigi, gli ha risposto: Eh no, Eminenza, se venisse san Paolo non farebbe soltanto il giornalista, farebbe il direttore della Reuter. Ma io aggiungo oggi: non solo direttore della Reuter, oggi san Paolo andrebbe forse da Paolo Grassi (allora presidente della Rai ndr) per domandargli un po’ di spazio alla televisione, oppure alla NBC». 

In attesa della beatificazione a San Pietro che avverrà il prossimo 4 settembre, la Fondazione Giovanni Paolo I ha promosso una corposa giornata di studi sul magistero di Luciani alla università Gregoriana, venerdì 13 maggio scorso, alla presenza del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato. 

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