La diplomazia di Francesco, un mix tra soft power ed empatia umana, l'analisi del nunzio a Parigi

Venerdì 21 Maggio 2021 di Franca Giansoldati
La diplomazia di Francesco, un mix tra soft power ed empatia umana, l'analisi del nunzio a Parigi

Città del Vaticano – La tela diplomatica di Papa Francesco in questi otto anni di pontificato mostra una peculiarità particolare: al soft power che la Santa Sede ha sempre declinato nelle sedi internazionali ha aggiunto, in particolare, il valore aggiunto dell'empatia umana, tessendo una trama che prima di essere politica o istituzionale è umana.

E' da lì che bisogna partire per collegare tutte le sue grandi missioni: in Centrafrica, con l'Islam sunnita, verso il mondo ortodosso, in Iraq, parlando all'Europa e alla sconfitta sull'emigrazione o al Giappone fino a transitare nei luoghi dimenticati dell'Africa, cercando la pace in Sud Sudan o incoraggiando transizioni complesse e fragili.

«Papa Francesco è convinto che non sono il conflitto, le polemiche o la lotta che possono cambiare le nostre relazioni, ma la persuasione, il calore umano, l’incontro e la comprensione reciproca». A tracciare una interessante analisi di questo pontificato è l'arcivescovo Celestino Migliore, veterano della diplomazia vaticana che si è fatto le ossa sotto la guida del cardinale Tauran e che, una volta lasciata la Segreteria di Stato per andare all'Onu come Osservatore Permanente, ha accompagnato la 'battaglia' dell'allora Papa Wojtyla per scongiurare, nel 2003 la guerra contro l'Iraq degli Usa e della Gran Bretagna.

Il 12 maggio – ha informato il periodico cattolico Settimana, riportando ampi stralci del discorso pronunciato dal nunzio a Parigi - è stato presentato alla Commissione degli affari esteri dell’Assemblea nazionale francese il rapporto di Michel Fanget sulla diplomazia vaticana in relazione a quella d’Oltralpe. Per l’occasione ha preso parola anche il nunzio a Parigi, Migliore, che ha sintetizzato in pochi paragrafi l’indirizzo diplomatico di Francesco. 

«Papa Francesco ha ridefinito le priorità della Chiesa dentro i soprassalti di un mondo in piena ebollizione», ha detto Migliore

«Dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco ha chiarito certi punti della sua agenda internazionale: agire prioritariamente in favore dei poveri, denunciando la «cultura dello scarto», operare per la pace, guarire le divisioni nel mondo cristiano e nell’ambito interreligioso, proteggere l’ambiente. Non è una novità assoluta nella tradizione della diplomazia pontificia, ma si tratta di un nuovo stile e di un nuovo coinvolgimento».

«Convinto che il dialogo e la preghiera sono strumenti efficaci, anzi indispensabili, ha conferito alla diplomazia della Santa Sede una posizione propria e originale rispetto alla diplomazia mondiale.Lo si è visto nelle veglie di preghiera e digiuno, organizzate per evitare un conflitto mondiale sulla questione della Siria e nella convocazione dei dirigenti dello stato d’Israele e di Palestina per pregare nei giardini del Vaticano. La prima iniziativa ha incoraggiato il ritiro delle armi chimiche da parte della Siria con l’aiuto della diplomazia internazionale piuttosto che attraverso un intervento armato. La seconda ha riaperto la porta al sogno della pace, oscurato per molto tempo».

«Papa Francesco ha dato nuovo soffio e credibilità per affrontare la questione della povertà, dell’esclusione e dell’indifferenza davanti alla vita grama di due terzi dell’umanità. Ha effettuato il suo primo viaggio in Italia a Lampedusa per esprimere la sua vicinanza e il suo sostegno ai rifugiati e attirare l’attenzione sul traffico di persone umane e sulla cultura ormai globalizzata dell’indifferenza».

In Messico ha voluto celebrare una messa alla frontiera con gli Stati Uniti, luogo simbolo delle migrazioni drammatiche verso l’America del Nord. Ha visitato l’isola di Lesbo per incontrare le folle dei rifugiati, per sensibilizzare le Chiese al fenomeno che assume proporzioni enormi e incitare i governi ad adottare misure adeguate.

«La sua prospettiva di fede motiva e giustifica una grande capacità critica di fronte a situazioni di ingiustizia e gli permette di essere più incisivo nell’articolazione della dottrina sociale della Chiesa. Ai responsabili dell’economia e della finanza mondiale ha espresso in molte occasioni una critica severa al paradigma tecnocratico dominante, che indica come «globalizzazione dell’indifferenza», e al fenomeno degradante della corruzione.

La fede che ispira e giustifica la sua azione permette di ridare spazio all’etica e abilita a liberarsi del «pensiero unico» dell’ideologia. In tale maniera l’etica ritorna a informare le attività umane, modificando la maniera in cui tali attività sono esercitate, non intervenendo solo successivamente, sperando in una generosa redistribuzione dei profitti ottenuti. Lo spessore critico del pensiero sociale cristiano del papa è strutturale, penetra nella sostanza delle cose e delle relazioni sistemiche. Pretende che l’economia sia buona nel suo funzionamento, e cioè nelle relazioni umane che essa induce».

«Inoltre in papa Francesco c’è il desiderio di capire l’estremismo religioso in tutte le sue forme e in tutte le religioni. Questo disturba talora alcuni cattolici: che il papa punti il dito non solo sul fondamentalismo islamico, ma anche denunci certi fondamentalismi nell’ambito cristiano e cattolico. Su questo punto compie un’operazione molto utile, perché sottolinea che il nemico non è l’islam, ma il fondamentalismo. E il fondamentalismo è una debolezza presente in tutte le religioni: è dunque qualcosa che dobbiamo combattere assieme».

© RIPRODUZIONE RISERVATA