Anniversari, l'11 febbraio 2013 Benedetto XVI si dimetteva, cosa ha prodotto nella Chiesa quel gesto rivoluzionario?

Sono passati 10 anni da quell'annuncio choccante. Un passaggio storico che ha rivoluzionato il papato contemporaneo aprendo ai Papi del futuro la possibilità di andare in pensione se lo vorranno

Domenica 5 Febbraio 2023 di Franca Giansoldati
Anniversari, l'11 febbraio 2013 Benedetto XVI si dimetteva, cosa ha prodotto nella Chiesa quel gesto rivoluzionario?

Città del Vaticano - Sono passati 10 anni da quell'annuncio choccante. Un passaggio storico che ha rivoluzionato il papato contemporaneo aprendo ai Papi del futuro la possibilità di andare in pensione se lo vorranno. Benedetto XVI l'11 febbraio 2013 rinunciava al munus petrino così come previsto dalla legislazione canonica senza probabilmente tenere conto delle conseguenze che avrebbe prodotto, quasi effetti collaterali non previsti, riscontrati tra i fedeli di tutto il mondo, andando ad alimentare senza volerlo visioni diverse, crepe sotterranee e l'idea che in Vaticano vi fossero ancora due pontefici. Nei quasi dieci anni di fraterna convivenza tra Ratzinger e Bergoglio nel piccolo stato pontificio non sono mancate proiezioni differenti su due approcci teologici diversi.

La morte di Benedetto XVI ha chiuso questo capitolo ma tuttavia ha lasciato sul terreno il grande quesito che prima o poi Papa Francesco dovrà affrontare: se (e nel caso come) regolare la vita e il simbolismo legato alla figura del papa pensionato. 

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L'idea di mollare tutto e ritirarsi a vita privata Ratzinger la aveva iniziata ad elaborare un anno prima, dopo che i medici gli avevano suggerito di smettere di compiere viaggi intercontinentali. Il suo biografo personale, Peter Seewald, ha aggiunto un particolare inedito: che soffriva di una forma grave di insonnia al punto da rendergli ormai gravoso il compito. Lo storico don Roberto Regoli ha fatto notare che l'istituto del Papa emerito resta una grande innovazione che potrà portare in futuro alla coesistenza di due o tre Papi contemporaneamente, di cui però solo uno solo attivo nel ministero e tutti gli altri a riposo in modo irreversibile. Per questo suggerisce di affrontare una riflessione per il futuro su come dovrà essere regolata la figura del Papa emerito. Una richiesta avanzata anche da diversi cardinali, tra cui Gerhard Mueller, già prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e dal cardinale Gianfranco Ghirlanda, oltre che da diversi canonisti. Secondo Geraldina Boni, docente di Diritto canonico, una norma di questo tipo resta indifferibile.

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«Si tratta di un tema cruciale che non può essere considerato un intoccabile tabù, quasi che affrontarlo comporti svilire la figura eminente del papa, misconoscendo la specificità del suo ufficio primaziale ancorato al diritto divino e comprimere irrispettosamente la libertas papale» ha scritto in un saggio pubblicato all'interno del libro “Papa, non più Papa” (Viella, 200 pagine, 25 euro). Una posizione che condivide  il cardinale Ghirlanda, gesuita e tra i più solidi canonisti in circolazione. «La legislazione canonica si occupa solo del caso di morte e di quello di rinuncia, in quanto gli altri due casi (per certa e perpetua pazzia o totale infermità mentale e per notoria apostasia, eresia o scisma) considerati in dottrina di rara attuazione o improbabile attuazione, non sono oggetto di una normativa. Tuttavia, poiché il caso di totale infermità mentale potrebbe più verosimilmente prodursi, sarebbe opportuna una qualche legislazione particolare» ha scritto nel libro.

Le dimissioni di Ratzinger pur essendo rivoluzionarie per la figura moderna del papato non sono le prime. Nell’anno 235 il vescovo Ponziano fu condannato e mandato in Sardegna insieme al rivale Ippolito – un teologo di rilievo, considerato il primo antipapa – e rinunciò, prima che entrambi soccombessero alle dure condizioni della deportazione, tanto che vennero presto considerati martiri. Poi si arriva al 1294 con Celestino V, Pietro del Morrone. Dopo cinque mesi il pontefice ottantacinquenne decise di dimettersi per tornare eremita. E ancora: dal 1378 per un quarantennio, la Chiesa ebbe due e persino tre papi e nel 1449 le cronache segnano l'abdicazione dell’antipapa Felice V. 

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IL tema della rinuncia se lo pose Pio VI dopo la proclamazione della Repubblica romana: egli morì nel 1799 deportato in Francia. Un caso che ebbe a mente Pio XII nel 1943 minacciato da Hitler. Successivamente Paolo VI di suo pugno scrisse che in caso «di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del ministero apostolico; ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo, di rinunciare al sacro e canonico ufficio, sia come Vescovo di Roma, sia come Capo della medesima santa Chiesa cattolica». 

A trascrivere le stesse parole dal documento di Paolo VI fu poi Giovanni Paolo II. Testi simili sono stati firmati da Benedetto XVI nel 2006 e da Papa Francesco pochi mesi dopo l’elezione, come lo stesso papa ha rivelato nell’intervista sul quotidiano spagnolo «Abc» del 18 dicembre scorso, specificando di aver consegnato la lettera al segretario di stato Tarcisio Bertone, che nell’autunno del 2013 venne sostituito da Pietro Parolin.

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