Papa Francesco: «Sì alle armi all’Ucraina: difendersi è un atto d’amore. Il dialogo con Putin puzza, ma è necessario»

Il Pontefice al rientro dal Kazakistan: «Con Mosca serve confronto a oltranza»

Giovedì 15 Settembre 2022 di Franca Giansoldati
Papa Francesco: «Dialogo con Mosca vada avanti a oltranza. Donare le armi a Kiev? Non è immorale»

Da bordo dell’aereo papale, dopo tre intense giornate in Kazakistan per prendere parte al Congresso mondiale delle religioni organizzato dal governo kazako nell’apprezzabile tentativo di gettare semi di pace, Francesco risponde ai giornalisti da seduto.

Non più in piedi come ha sempre fatto alle conferenze stampa in aereo: il ginocchio gli fa parecchio male benché non gli impedisce di pianificare altri viaggi. Il prossimo lo farà in Bahrein a novembre, per sostenere i Patti di Abramo e in seguito in Sud Sudan e in Congo, ipotizzati per il 2023. Parla di politica italiana e passa a riflettere sul devastante capitolo della guerra in Ucraina. La sua linea è chiara: bisogna dialogare con la Russia a oltranza, anche se omette di dire se e quando andrà a Kiev, una destinazione che continua a slittare per ragioni diplomatiche.

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Lei ha detto che non si può giustificare la violenza. Tutto quello che sta succedendo in Ucraina è pura violenza, morte e distruzione, anche in Russia, e in Polonia abbiamo 2 milioni di profughi. Secondo lei esiste una linea rossa che non si può oltrepassare, in poche parole fino a quando si potrà dire siamo aperti al dialogo con Mosca?

«È difficile comprendere il dialogo con gli stati che hanno cominciato la guerra. E sembra che il primo passo sia stato da quella parte. Tuttavia per quanto difficile il dialogo con va scartato. Bisogna dare l’opportunità del dialogo a tutti. Perché solo con il dialogo si possono cambiare le cose e offrire un altro punto di vista e di considerazione. Non escludo il dialogo con qualsiasi potenza in guerra, anche se a volte il dialogo puzza, ma si deve fare. Una mano va tesa sempre. Il dialogo va fatto sempre e fa bene».

Parliamo di autodifesa. In questo momento pensa sia giustificato dare armi all’Ucraina? 

«Questa è una decisione politica che può essere moralmente accettata se fatta con condizioni di moralità. Tuttavia può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra, o per scartare le armi che non servono più e vendere le armi. Difendersi non solo è lecito, è anche una espressione di amore alla patria. Chi difende ama la patria. Ma a questo punto si dovrebbe riflettere di più sul concetto di guerra giusta. Tutti parlano di pace oggi, da tanti anni le nazioni unite fanno tanto, ma in questo momento ci siamo chiesti quante guerre sono in corso? Quella che lei ha menzionato tra Ucraina e Russia, e in questi giorni anche tra Azerbajian e Armenia (anche se pare si sia fermata perché la Russia si è fatta da garante) e poi in Siria dove la guerra va avanti da 10 anni. E poi Corno d’Africa, Myanmar. Il fatto è che ci sono tanti intessi attorno».

A Nursultan c’era anche il presidente Xi. L’ha incontrato?

«No non l’ho visto».

In Cina continuano a esserci problemi sulla libertà religiosa e il cardinale Zen andrà a processo. Si tratta di una violazione della libertà religiosa? 

«Per capire la Cina ci vuole un secolo e noi non viviamo un secolo. La mentalità cinese è una mentalità complessa. Per capire noi abbiamo scelto la via del dialogo e dato vita a una commissione bilaterale che sta andando avanti bene. Forse lentamente perché il ritmo cinese è quello, ma loro hanno una eternità per andare avanti, sono pazienti. Mi viene in mente l’esperienza dei missionari italiani che sono andati e sono stati rispettati come scienziati o come educatori e anche oggi ci sono tanti sacerdoti chiamati dalle università cinesi. Comprendere la mentalità cinese non è facile, va rispettata. Qualificare la Cina come nazione antidemocratica non me la sento».

Tra pochi giorni si vota in Italia: quando incontrerà il prossimo presidente o presidentessa del Consiglio quali priorità indicherebbe o quali rischi da evitare?

«Ho conosciuto due presidenti italiani di altissimo livello. Napolitano e Mattarella. Gli altri politici non li conosco. Oggi fare il politico non è facile ed è una strada difficile. Il politico grande è quello che si gioca per i valori della patria e non per gli interessi della poltrona. Fare politica è un’arte, una vocazione nobile. È la forma più alta della carità».

E che consigli si sente di dare?

«Penso che la politica dei paesi europei debba riprendere per mano il livello morale della gente, pensando certamente allo sviluppo industriale ed economico ma anche ai valori o a come integrare i migranti. E poi c’è il pericolo dei populismi. La politica deve affrontare i problemi e prenderli sul serio. Quanto alla politica italiana in sé, io non la capisco tanto bene, 20 governi in questi decenni, mi pare strano ma, come si dice in Argentina, ognuno ha uno modo proprio di ballare il tango».

Sul dibattito del fine vita, vuole aggiungere qualcosa?

«Uccidere non è umano. Uccidere laciamolo alle bestie». 

Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 17:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA