Benedetta Porro simbolo della resilienza femminile diventa beata

Venerdì 13 Settembre 2019 di Franca Giansoldati
Benedetta Porro simbolo della resilienza femminile diventa beata

Diventa beata una giovane donna davvero speciale. Simbolo della resilienza femminile e di un amore per gli altri incrollabile, nonostante la malattia che la colpisce dalla nascita e la sofferenza che la perseguita come un'ombra per tutta la breve vita. Ma nonostante questo Benedetta Bianchi Porro - nata a Forlì nel 1936 e morta nel 1964, all'età di ventisette anni – non si arresta di fronte a nulla. Anzi, sprona chi la circonda a dare il meglio, a credere nel futuro, a non smettere mai di sperare. A 17 anni testarda si iscrive all'università, bruciando le tappe con la sua mente brillante senza mai si perdersi mai d'animo, nonostante la paralisi totale che la colpirà di lì a breve. 
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Una vita, la sua, caratterizzata dalla sofferenza. A pochi mesi dalla nascita è colpita dalla poliomelite e cresce con una gamba più corta, ma questa menomazione non la ferma. Viene poi colpita dalla sordità, ma nemmeno questo arresta la grande voglia di vivere e prosegue gli studi con grande determinazione. A soli diciassette anni si iscrive alla facoltà di Medicina e Chirurgia di Milano, e saranno proprio questi studi che le permetteranno di diagnosticarsi una neurofibromatosi diffusa conosciuta meglio come morbo di Recklinghausen.

In quel periodo rimane totalmente paralizzata, priva di ogni facoltà sensitiva e finisce per perdere anche la vista. Il fratello Corrado Bianchi Porro, per anni giornalista economico al "Giornale del Popolo" di Lugano, che ha vissuto accanto a Benedetta fino alla fine, descrive una condizione che avrebbe abbattuto chiunque: «Aveva tumori benigni che colpivano progressivamente tutti i centri nervosi. Divenne prima sorda, poi paralizzata, poi cieca. Negli ultimi tempi era come un castello col ponte levatoio. Lei poteva parlare ma noi comunicavamo con lei solo con l’alfabeto muto attraverso l’unica mano che le era rimasta sensibile, leggendo per esempio i libri, o le lettere che riceveva dagli amici con l’alfabeto muto della sua mano. Molti amici venivano per consolarla e si trovavano consolati, perché lei leggeva - non si sa come - i loro problemi e li accompagnava alla speranza e alla gioia di Dio, più grande della nostra incapacità di vederlo e capirlo».

Era una ragazza esile, di un’intelligenza rara che con l’aiuto della fede ha saputo spezzare la solitudine della sua condizione regalando gioia. «Stare accanto ad una sorella che ha iniziato un cammino di santità», ha spiegato il fratello Corrado, «è sempre una ferita aperta. Perché c’è la vergogna di sapere e vedere che non siamo degni di quello che ci ha detto e di come lei ha vissuto. Nello stesso tempo, c’è anche una grande gioia: con Benedetta abbiamo visto che la santità di Dio era vicina a noi, nella nostra casa, ed era gioia per tutti. Oggi che viviamo perennemente online ma incapaci di comunicare penso a Benedetta. Abbiamo perso molte possibilità di comunicare con il cuore a chi ci vive accanto”. 

La Chiesa la proclamerà beata domani, 14 Settembre alle ore 10.30, nella cattedrale di Forlì, dal prefetto della congregazione dei Santi, il cardinale Angelo Becciu.

E' stato Papa Francesco ad autorizzare l'anno scorso la promulgazione del decreto relativo a un miracolo ottenuto per intercessione di Benedetta nel 1986. Il miracolo è riferito alla guarigione scientificamente inspiegabile di un giovane ventenne, ridotto in fin di vita a causa di un incidente motociclistico avvenuto il 21 Agosto 1986. La madre e gli amici in ospedale pregarono per l’intercessione di Benedetta Bianchi Porro. Il 3 Settembre 1986 ,il giovane si è svegliato e oggi è padre di due figli. Una commissione costituita da sette medici, incaricati di studiare i referti, non ha trovato nessuna spiegazione scientifica della guarigione.

 

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