Città del Vaticano – Alla COP26 il Papa ha mandato una specie di consiglio finale, nel tentativo di salvare il salvabile e non far fallire il già fragilissimo summit sul clima: «Imploriamo i doni di saggezza e di forza di Dio su coloro che sono incaricati di guidare la comunità internazionale mentre cercano di affrontare questa grave sfida con decisioni concrete ispirate dalla responsabilità verso le generazioni presenti e future. Il tempo sta per scadere; questa occasione non deve essere essere sprecata, altrimenti dovremo affrontare il giudizio di Dio per la nostra incapacità di essere amministratori fedeli del mondo che ha affidato alle nostre cure».
Anche in questo testo Francesco si rammarica di non essere potuto essere presente di persona senza però fornire ulteriori spiegazioni. Un po' come aveva già fatto la scorsa settimana quando aveva affidato al cardinale Parolin, capo delegazione al summit, un discorso letto durante il vertice.
«Non abbiamo alternative» aveva fatto sapere di fronte alle ultime proiezioni apocalittiche dell'Ipcc – il panel intergovernativo dell'Onu – che ha calcolato che se non si limita il riscaldamento climatico alla fine del secolo entro 1,5 gradi vi saranno almeno 300 milioni di persone costrette ad abbandonare la propria terra per l'innalzamento delle acque del mare. Il Papa – per il tramite di Parolin – si era scusato per la sua assenza: «avrei voluto essere presente con voi, ma non è stato possibile. Vi accompagno però, con la preghiera in queste importanti scelte».
La misteriosa defezione del Papa dal vertice di Glasgow è stata oggetto di diverse speculazioni diplomatiche. Inizialmente il pontefice era intenzionato ad andare tanto che lui stesso lo aveva ipotizzato in una intervista rilasciata alla radio spagnola Cope. Si sarebbe trattato di una trasferta di un giorno. Poi è arrivato il dietrofront che in assenza di spiegazioni ufficiali dal Vaticano è stato interpretato come una mossa conseguente alle scarse possibilità di successo del vertice, a causa della rigida posizione assunta da alcuni paesi, tra cui la Cina poco propensa ad accettare la riduzione di 1,5 gradi entro il 2050.
Con questo paese asiatico (considerato dal Vaticano il più grande bacino d'anime da evangelizzare) la Santa Sede ha in corso una difficile trattativa sotterranea per la buona riuscita di un accordo bilaterale sulla normalizzazione delle nomine episcopali firmato tre anni fa ed ancora oggetto di lacerazioni all'interno della Chiesa. Non tutti i cattolici cinesi lo hanno digerito, soprattutto quelli che facevano parte della Chiesa clandestina (non controllata dal partito comunista).
Naturamente è difficile dire se l'incompresibile passo indietro del Papa a Glasgow faccia parte della strategia diplomatica del Vaticano di non accumulare ulteriori occasioni di attrito o di critica con Pechino. Ma qualche indizio potrebbe effettivamente portare in questa direzione.
La Santa Sede pur di non irritare la Cina ha scelto - in questi anni - di restare silente anche sulla macroscopica vicenda di Hong Kong, di non interferire sullo scontro con Taiwan, e di fare finta di nulla sulle minoranze Uigure e persino sulle violazioni dei diritti umani in Tibet (evitando di ricevere il Dalai Lama). Anche stavolta la diplomazia d'Oltretevere potrebbe avere suggerito di optare per il male minore: la via della realpolitik scansando ulteriori guai con le autorità cinesi. Pechino, per Francesco, val bene una messa.
Mentre Cina e Usa hanno annunciato una intesa sul clima, senza però alcuna road map, né scadenze, né obiettivi specifici, al termine della Cop26 il Vaticano ha diffuso un comunicato ufficiale sull'esito dei lavori nel quale parla di «ambiziosi impegni presi dagli Stati per limitare l'innalzamento della temperatura media globale a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali e fornire le risorse finanziarie necessarie per farlo sono promettenti e anzi essenziali per la sopravvivenza delle comunita' piu' vulnerabili». La Delegazione della Santa Sede, si legge, «apprezza gli impegni che gli Stati hanno assunto nelle loro dichiarazioni" sebbene ci sia ancora molto da fare». Anche in questo caso non appare alcuna menzione al ruolo della Cina, principale paese inquinatore al mondo.
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