I silenzi del Papa su Taiwan e Hong Kong per non guastare il rapporto con Xi e il rinnovo dell'accordo con la Cina

Martedì 15 Settembre 2020 di Franca Giansoldati
I silenzi del Papa su Taiwan e Hong Kong per non guastare il rapporto con Xi e il rinnovo dell'accordo con la Cina

Citta' del Vaticano - L'accordo tra Vaticano e Cina – confermato dal cardinale Pietro Parolin – è avviato ad un rinnovo, almeno per altri due anni, nonostante le resistenze interne. In questi ultimi mesi la Santa Sede è stata oggetto di pesanti giudizi da parte di cardinali e vescovi per avere sostanzialmente deciso di proseguire la normalizzare la Chiesa in Cina persino di fronte a notizie negative provenienti da diverse regioni del paese: persecuzioni ai cristiani che non accettano il controllo del partito, distruzione dei simboli religiosi, vessazioni più o meno marcate.

Le critiche hanno finito per colpire anche Papa Francesco per avere taciuto, in tutto questo tempo, la politica autoritaria di Pechino sulla società di Hong Kong. Nel frattempo sono finiti in carcere attivisti e persino editori di giornali che raccontavano cosa stesse accadendo nell'ex colonia britannica. L'incredibile silenzio del Papa – generalmente sempre pronto a difendere i diritti umani – è calato anche sulle vicende della minoranza cinese musulmana degli Uiguri, sottoposta ad un programma di riabilitazione in campi di concentramento (come si evince dai documenti che sono stati pubblicati dal New York Times). Tra le denunce di alcune Ong persino quella della sterilizzazione forzata delle donne uiguri. 

C'è poi un altro nodo irrisolto che resta latente e in sottofondo tra la Cina e il Vaticano. Quello di Taiwan. Una potenziale mina vagante. La Santa Sede ha rapporti con la cosiddetta Isola Ribelle dalla metà degli anni Cinquanta, quando il nunzio in Cina fu cacciato con l'arrivo di Mao Tse Tung. Pechino considera Formosa parte del suo territorio continentale, senza tener conto che la società taiwanese non accetta a rinunciare alla sua democrazia interna e alla influenza americana (gli Usa hanno a Formosa una importante base militare). 

Il Vaticano in mezzo a due fuochi sta cercando di prendere tempo e barcamenarsi come può. Non sono mancate in passato le richieste di Pechino a rompere le relazioni diplomatiche con Taiwan. Se questo avvenisse ben presto si verificherebbe un isolamento significativo e con conseguenze imprevedibili.

 Secondo quanto hanno riportato i mass media di Taiwan in questi giorni il Vaticano ha fatto sapere al governo di non preoccuparsi troppo della proroga di un accordo tra la Santa Sede e la Cina sulla nomina dei vescovi in quanto si tratta di una questione «religiosa e non diplomatica». Lo ha riferito il ministero degli Esteri attraverso la sua portavoce Joanne Ou, aggiungendo che Taiwan e il Vaticano hanno comunicazioni fluide e buone. «Taiwan sta prestando molta attenzione alle interazioni del Vaticano con la Cina ed e' in stretto contatto con la Santa Sede ha insistito, senza ignorare che Il Vaticano è rimasto l'unico alleato diplomatico europeo di Taiwan». 

Taiwan spera che l'accordo cinese possa migliorare la libertà religiosa in Cina e avere effetti positivi per tutti, ma da quando e' stato firmato due anni fa, la repressione e' effettivamente peggiorata in molte zone, con credenti incarcerati e chiese demolite, ha spiegato la portavoce taiwanese.

L'accordo provvisorio che da' al Papa l'ultima parola sulla nomina dei vescovi, e' entrato in vigore il 22 ottobre 2018.

Nel frattempo a favore di Taiwan si sono mossi diversi intellettuali europei che hanno firmato una lettera dai toni durissimi pubblicata su Le Monde, nella quale chiedono all'Europa di intervenire e sostenere l'isola di Formosa e proteggerla dalla politica autoritaria di Pechino. A firmare l'appello - tra i tanti - ci sono Raphael Glucksman, vice presidente della commissione per i diritti umani al Parlamento europeo, Nathalie Loiseau, presidente per la sicurezza e la difesa al Parlamento europeo, Reinhard Butikofer, presidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la Cina, oltre a diversi europarlamentari, accademici e funzionari. 

Papa Francesco finora è sembrato ignorare gli appelli che arrivavano da Hong Kong e dal Taiwan ad alzare la voce. Di fatto è restato in silenzio persino di fronte alle proteste. Anzi. In un paio di circostanze ha cercato persino di minimizzare gli eventi. L'anno scorso, per esempio, durante un volo papale, interpellato dai giornalisti sulla questione e invitato a fornire un commento, ha paragonato le proteste di Hong Kong per la difesa della democrazia a quelle in in Francia dei Gilet Jaune. Una gaffe, visto che in Francia al momento nessuno ha approvato leggi draconiane e nessuno sta cancellando il diritto alla libertà di stampa.

Qualche domenica fa Papa Francesco ha poi censurato un appello diplomatico che doveva essere letto dopo un Angelus. Invece di leggere il testo scritto che gli era stato preparato dai suoi diplomatici, ha scelto di saltarlo a piè pari, per non irritare la Cina e non causare imbarazzi. Una auto-censura che gli ha tirato addosso tante critiche perchè fino ad oggi non ha mai speso una parola di solidarietà verso i cristiani perseguitati in Cina. 

Il silenzio di Francesco riguarda poi anche la vicenda del Tibet e del popolo tibetano. Sin dall'inizio del suo pontificato ha evitato di incontrare il Dalai Lama e di parlare apertamente della sistematica distruzione di una cultura antichissima pur di non disturbare la politica repressiva di Pechino.

Come se in Vaticano vi fossero diritti umani da difendere di serie A - per esempio a riguardo delle popolazioni amazzoniche - e diritti umani di serie B. 

 

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 19:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA