Cardinale Becciu: «Mai un centesimo è andato in tasca a mio fratello»

Venerdì 14 Ottobre 2022 di Franca Giansoldati
Cardinale Becciu: «Mai un centesimo è andato in tasca a mio fratello»

Città del Vaticano – Continua in tribunale senza esclusione di colpi la ricostruzione del famigerato investimento del palazzo di Londra che ha determinato una perdita secca per le finanze del Papa (ancora però da definire con precisione dopo la vendita avvenuta l'anno scorso dell'immobile per 186 milioni di sterline). Il processo in corso sta offrendo uno spaccato non solo su come venivano gestiti i fondi riservati della Santa sede ma soprattutto sta facendo affiorare anche i veleni sottostanti e gli scontri tra poteri. E spunta anche una generosa elargizione dell'Obolo di San Pietro a una cooperativa comasca nella quale lavora il padre di monsignor Alberto Perlasca, teste chiave costituitosi parte civile e grande accusatore del cardinale Angelo Becciu, uno dei dieci imputati al maxi processo.

La cooperativa ha ottenuto finanziamenti per 60 mila euro.

Il primo teste dell'udienza di stamattina al processo è stato Marco Simeon, persona legata al cardinale Bertone che dal 2000 ha mantenuto rapporti con la Santa Sede tra fondazioni e incarichi. In particolare a Simeon, residente da anni a Rio de Janeiro, è stato chiesto di spiegare la genesi della proposta di acquisto del Palazzo di Sloane Avenue, pari a 315-330 milioni, da parte del gruppo americano Bizzi & Partners dopo che il Vaticano aveva già liquidato Torzi rientrando nella proprietà totale dell'immobile. La proposta fu fatta dall’onorevole Giancarlo Innocenzi Botti, con il quale Simeon era in rapporti da tempo mentre il rappresentante del gruppo era l’ambasciatore Giacomo Castellaneta. Simeon ha spiegato che il cardinale Becciu (uno dei dieci imputati al processo) non è stato assolutamente coinvolto in questa trattativa, spiegando che Innocenzi chiese solo il modo di «avvicinare» il porporato che non conosceva e illustrargli così la proposta di Bizzi & Partners. Visto che Simeon aveva conosciuto Becciu in passato e mantenuto sempre “rapporti cordiali” con lui, non esitò a contattarlo e gliene parlò e il cardinale disse di aver ricevuto dai superiori l’indicazione che c’era una disponibilità del Vaticano a valutare la vendita ma «seguendo strade ordinarie e tramite gli organi competenti». 

Nel caso specifico fu dunque indicato tra gli organi competenti padre Juan Antonio Guerrero, prefetto della Segreteria per l’Economia, per la “parte operativa”, e il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, in rappresentanza della Segreteria di Stato proprietaria dell’immobile. La proposta però non andò in porto, dopo che Guerrero valutò in essa alcune criticità. Inoltre, il sospetto formulato dall'accusa, è che vi fosse ancora dietro il finanziere molisano Torzi (imputato al processo) per riappropriarsi nuovamente del palazzo. Se si fosse realizzata la transazione, Simeon – ha affermato in aula - avrebbe preso «il 3%: Non lavoravo gratis».

Simeon ha chiarito inoltre che tra lui e Gianluigi Torzi non c’era alcuna relazione (le informazioni sul broker le prendeva da Innocenzi Botti) e che venne a sapere dell’esistenza del finanziere solo a maggio 2020. «L’unico contatto è stato una telefonata per sapere chi lo avesse chiamato a lavorare in Vaticano… Per me era solo una ‘criticità’ nella vendita dell’immobile».

L'udienza (la trentesima) è stata segnata anche da una nuova e lunga dichiarazione spontanea del cardinale Angelo Becciu, in risposta alle dichiarazioni nell’interrogatorio di ieri del commissario della Gendarmeria Stefano De Santis, punto di riferimento delle indagini finanziare. Nella dichiarazione è stato fatto un riferimento a come la Segreteria di Stato abbia erogato 60 mila euro dell'Obolo di San Pietro alla Cooperativa “Simpatia” di Como, dove lavora il padre di monsignor Alberto Perlasca, il testimone ‘chiave’ del processo. Il cardinale ha chiesto perché Ozieri sia stata indagata e Como no? «Perché Ozieri ha provocato tutto questo can can mediatico?». La ragione, ha detto Becciu, è che «si è sospettato che i miei familiari si fossero arricchiti». A tal proposito, il cardinale ha invitato il commissario Stefano De Santis – interrogato ieri - a dichiarare pubblicamente se mai, dagli accertamenti fatti, ha trovato un’entrata irregolare nei conti dei familiari: «La autorizzo a dire quanto ha trovato sul conto corrente di mio fratello Tonino! (il titolare della cooperativa Spes ndr). Mai un centesimo è entrato nelle tasche dei miei fratelli».

Il cardinale è poi tornato sulla questione dell’incontro riservato del 3 ottobre 2020 nel suo appartamento con lo stesso De Santis e il comandante della Gendarmeria, Gianluca Gauzzi Broccoletti, il quale aveva chiesto al porporato di voler discutere con lui di alcune questioni a voce. Tra queste, il fatto che la manager Cecilia Marogna (imputata al processo per truffa) stesse spendendo i soldi forniti dalla Santa Sede per una missione umanitaria in beni di lusso. A detta di Becciu, Gauzzi aveva chiesto che l’incontro fosse «tutelato dall’impegno della massima riservatezza»; invece il commissario ha affermato che mai furono imposti di segretezza. «Confermo nel modo più assoluto che mi venne detto di tenere il segreto e io ho rispettato quell’impegno e anche nei momenti più difficili e tormentati non ho mai confidato a nessuno di quell’incontro», ha detto invece oggi Becciu, che si è detto "dispiaciuto" dalle affermazioni di ieri.

Il cardinale ha affermato che durante quell'incontro gli fu suggerito, quasi caldeggiato, dai gendarmi di rientrare in Sardegna per vivere «tranquillo» tra la sua gente. «Non vorrà mica partecipare a un processo? Lei sa bene quante cose negative potrebbero venire fuori!”, avrebbe detto il dirigente della Gendarmeria secondo il racconto del cardinale. «È da due anni che mi chiedo il senso di quelle parole» ha affermato Becciu in aula, assicurando di continuare a partecipare alle sedute “fino alla fine, a testa alta, sicuro che la verità emergerà e così la mia assoluta innocenza”.

Quanto alla questione dei finanziamenti della CEI alla Caritas della Diocesi sarda di Ozieri, devoluti poi alla Cooperativa Spes, di cui il fratello Tonino Becciu era titolare, il cardinale ha aggiunto: «Io non nego il mio interessamento, non vi vedevo e non vi vedo alcun reato, perché questa è una prassi normale nella Chiesa, quella di aiutarsi reciprocamente», ha affermato Becciu. La Chiesa, ha aggiunto, non è «un’azienda e neppure un ufficio municipale», nella Chiesa «regna la legge dell’amore e del disinteresse… Aiutare a creare opere di bene è il massimo che un cristiano, un sacerdote e ancor più un vescovo deve fare”. E nel caso della Spes, oltre settanta persone sarebbero state aiutate ad avere un lavoro, senza mai avere un »sollecito o un rimprovero» dalla CEI.

Infine, quanto all’operazione umanitaria che ha portato alla liberazione della suora colombiana rapita dai jihadisti in Mali dietro il pagamento di un riscatto, Becciu – che nel frattempo è stato sollevato dal Papa dal segreto pontificio – ha detto di sentirsi personalmente «ancora vincolato al segreto» e di «non dover ulteriormente dettagliare» di azioni precedenti, evidentemente per non mettere in pericolo i missionari che vivono nelle zone infestate dal terrorismo di matrice islamica. Ha solo affermato che in una occasione «fu sventata, solo all’ultimo secondo, una fuga di notizie, che avrebbe messo in pericolo l’immagine della Santa Sede e la sicurezza delle missionarie e dei missionari impegnati in territori difficili». Il riferimento dovrebbe riguardare la liberazione nel 2017 di un salesiano nello Yemen. Per questo, “solo per questo”, nella vicenda che riguarda Cecilia Marogna fu ritenuto di “non parlarne neanche con la Gendarmeria”.  Sempre sulla Marogna, il cardinale ha detto di essersi "irritato" nel venire a sapere che «si fossero iniziati a spendere soldi di quella somma destinata a ben determinati scopi»: «Mi ripromisi di chiarire subito con la signora. Cosa che feci e lei mi assicurò totalmente che non era vero. Non mancai di dirle che qualora avesse attinto da quei soldi non per le operazioni concordate, li doveva assolutamente rimettere a posto».

A inizio udienza il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha letto due ordinanze: la prima per rigettare la richiesta avanzata dalla difesa del broker Gianluigi Torzi sulla possibilità di essere interrogato da remoto, a causa di impedimenti dovuti alle pendenze in Italia; la seconda, per rigettare la richiesta del teste Luciano Capaldo, ingegnere e consulente della Segreteria di Stato, residente a Londra, che avanzava come impedimento per presentarsi in aula il rischio di danni di salute per il volo in aereo. Impedimenti non documentati per Pignatone, che ha ordinato che il Promotore di Giustizia concordi col teste un appuntamento per venire a testimoniare.

Nel corso dell’udienza è stato sentito anche Andrea Pozzi, già vicepresidente della Fondazione Enasarco. Chiamato dall’accusa per alcuni investimenti del fondo Athena riconducibile a Raffaele Mincione, il suo esame si è esaurito in pochi minuti, dopo che è stato evidenziato che i fatti non erano inerenti ai capi di imputazione. La prossima udienza si terrà il 19 ottobre. Insieme a tre gendarmi, sarà sentito l’arcivescovo Rocco Pennacchio.

Ultimo aggiornamento: 15 Ottobre, 14:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA