Abusi in Vaticano, racconto choc della presunta vittima: «Molestie dentro San Pietro»

Mercoledì 17 Marzo 2021 di Franca Giansoldati
Abusi in Vaticano, il raccapricciante racconto della presunta vittima: «Molestie persino dentro San Pietro»

Città del Vaticano – Avance sessuali persino nel piccolo bagno dietro l’Altare della Cattedra di San Pietro. «Lui quella volta si affacciò da me con la veste aperta ed era nudo sotto, mi invitò a seguirlo in uno dei due bagni.

Ero sconvolto: queste cose anche durante la messa? Sono uscito dal corridoio e mi sono messo all’altare a fianco ai gradini, così che non poteva dirmi vieni di là». Quella volta non ci fu nessun abuso grazie a questo escamotage.

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Per tre ore la presunta vittima L.G ha raccontato ai magistrati vaticani gli episodi più raggelanti, di quando don Gabriele Martinelli cercava di avere approcci sessuali con lui. Le avance erano continue, anche nella Canonica al terzo piano, utilizzata dai ragazzi per cambiarsi prima delle messe in Basilica. A volte Martinelli si faceva trovare con i pantaloni abbassati o completamente nudo, invitandolo a compiere atti sessuali.

«Sapeva i miei turni. Mi diceva: “Vieni qua, facciamo veloce, dai”». L.G. però in quelle occasioni riusciva a «scappare», essendo giorno. Il dramma era la notte, quando nel Preseminario in Vaticano, a venti metri in linea d'aria da Santa Marta, si consumavano le violenze alle quali L.G non riusciva a sottrarsi. Tutti sapevano ma nessuno fiatava. E' uno spaccato agghiacciante quello che è emerso nella deposizione avvenuta oggi al Tribunale Vaticano, nel processo in corso per stabilire se effettivamente vi sono state violenze. 

La vittima ha riferito dei sei anni di abusi che lo hanno portato allo "schifo, disgusto, nausea" per l'ambiente ecclesiastico. La presunta vittima degli abusi al Preseminario San Pio X ha parlato della sua esperienza cominciata quando aveva solo 13 anni. Un bambino. All'inizio "lo choc", poi "l'esasperazione", infine "la rassegnazione" di fronte a quel compagno – Gabriele Martinelli - un anno più grande di lui che si era infilato nel suo letto pochi mesi dopo il suo arrivo a Roma”. 

L'ambiente dove hanno vissuto per anni i chierichetti del Papa, così chiamati perchè vengono utilizzati durante le celebrazioni in basilica, appare letteralmente marcio. 

Le molestie (toccamenti e masturbazioni) avvenivano nella stanza («si infilava nel mio letto mentre dormivo», presenti gli altri ragazzi che «o dormivano o facevano finta di dormire»). I rapporti veri e propri avvenivano nella stanza vuota del Preseminario, detta «la farmacia», o negli ultimi anni nella stanza che don Gabriele Martinelli occupava da solo. L.G., la preunta vittima, ha cercato di ribellarsi, di denunciare, di fare presente quello che accadeva ma nessuno lo ha ascoltato. Non lo ha fatto il Rettore don Enrico Radice. A lui aveva parlato genericamente di un disagio ma senza «entrare nei dettagli» sessuali. 

L'ingresso nel Preseminario è avvenuto nel settembre 2006, su suggerimento del parroco del suo paese vicino Sondrio. I primi due anni sono trascorsi senza problemi poi tra il 2006 e il 2007 le prime avvisaglie: «Martinelli si era infilato nel mio letto di notte. Per me era una cosa molto strana, ero piccolo e non mi ero mai affacciato al mondo della sessualità. A casa o nel mio paese non avevo mai sentito parlare di sesso. Ho provato un senso di confusione, non capivo cosa stesse succedendo».

In quella prima aggressione Martinelli, stando a quanto dichiarato da L.G., ha avuto un «approccio diretto»: «Mi ha abbassato i pantaloni e ha cominciato a toccarmi nelle parti intime, per poi masturbarsi. Una volta finito, è andato via come se niente fosse. È stato uno shock, mi sentivo paralizzato».

L.G. ha detto che questi approcci si sono ripetuti nel tempo, anche «2-3 volte a settimana», per poi «evolversi». Martinelli col passare del tempo gli chiese infatti anche del sesso orale e anale reciproco. Le prime aggressioni avvenivano nella stanza che L.G. condivideva con altri due alunni del Preseminario. Invece gli atti sessuali venivano consumati in una piccola stanza chiamata «la farmacia» e in una stanza disabitata di cui Martinelli si era appropriato. 

Sia la Corte che gli avvocati hanno chiesto a L.G. perché non avesse provato a reagire o urlare. Lui ha risposto di aver quasi sempre cercato di fare rumore «sbattendo i cassetti del comodino» o dando pugni sul muro. «Il rumore spaventava Martinelli che andava via. Dopo mezz’ora però ritornava». Gli altri compagni di stanza, ha detto L.G., «o dormivano o facevano finta di dormire. Nessuno si è mai alzato per dire “cosa state facendo?”».

L.G. Ha spiegato anche di essere stato paralizzato dalla paura di denunciare il suo dramma per non passare per omosessuale. «Avevo paura che se mi avessero visto nel letto con Martinelli avrebbero cominciato a fare gossip, sarei stato additato anch’io come omosessuale o come uno che di notte di dilettava con queste cose. Pensavo a cosa avrebbero potuto dire ai miei genitori, al mio parroco». Ha aggiunto pure che, nel momento degli abusi, sentiva come «un distaccamento tra anima e corpo. Il mio corpo era lì come un oggetto. Non avevo nessuna reazione fisica. Negli anni mi sono rassegnato, pensavo: fai quello che vuoi, basta che ti sbrighi e te ne vai, perché voglio dormire che domani ho scuola. A me piaceva la scuola, era l’unico momento di libertà e normalità, visto che nel Preseminario vivevamo ovattati, non c’era libertà di movimento o pensiero». 

Due anni dopo le prime molestie L.G. Tornò a parlare ancora al rettore del Preseminario ma ancora una volta senza successo. Il ragazzo però ancora una volta non fu esplicito sui presunti abusi subiti: «Non gli ho mai detto di essere vittima di aggressioni sessuali, non sono entrato nei particolari. A 30 anni mi sento anche in colpa di non essere stato più chiaro». 

Radice, in ogni caso, lo trattò molto male: «La sua risposta mi lasciò sconvolto, fu molto duro: “Sei solo invidioso, smettila, chiamo il tuo parroco, la tua famiglia”. Mi rendo conto oggi che la sua reazione fu spropositata». 

La presunta vittima, visti i ripetuti abusi e la reazione del rettore, si era quindi «rassegnato» e non aveva più tentato di denunciare nulla.

Nel luglio 2013, quando L.G. era ormai uscito dal Preseminario, scrisse una lettera all’allora vescovo di Como, Diego Coletti, in cui faceva cenno ad un plagio psicologico e a «violenza fisica». La lettera era stata scritta su richiesta di Coletti dopo un colloquio avvenuto nella sede della Cei a Roma. Il ragazzo spiegava di «non voler fare casini» ma solo di aver bisogno di soldi per pagarsi un percorso di psicoterapia. Il vescovo rispose che aveva bisogno di una documentazione scritta per procedere: «Tu dici queste cose, ma ho bisogno di qualcosa di scritto e firmato». Coletti avrebbe detto a L.G. anche di «allontanarsi dalla Chiesa» e di «vivere la sua vita» per essere più sereno.

Sempre nel 2013, L.G. ha un altro confronto con un altro prelato che gravita sul Preseminario, monsignor Vittorio Lanzani - attuale responsabile della Fabbrica di San Pietro - con il quale fu invece esplicito sulle violenze subite. Ma anche in quel caso, nessuna risposta. Nessuno sembrava ascoltare e prendere sul serio le denunce della vittima. 

Ultimo aggiornamento: 21:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA