'Ndrangheta, facce pulite per ottenere i prestiti-Covid

Giovedì 16 Luglio 2020
'Ndrangheta, facce pulite per ottenere i prestiti-Covid

PERUGIA - Le facce pulite della ‘ndrangheta. Quelle cui intestare aziende per inserirsi nel circuito degli appalti o ripulire i soldi sporchi attraverso l’economia legale. O anche, con cui bussare alle porte degli istituti di credito per chiedere prestiti e finanziamenti. Ora, dopo la pandemia coronavirus che ha messo in ginocchio tante imprese, la caccia è a quei contributi previsti dallo Stato per far ripartire le aziende. Soldi che servono come il pane.

Soldi che servono come il pane a chi sta cercando in tutti i modi di tenere in piedi la baracca della propria azienda. Soldi che possono arrivare in un ritardo che in alcuni casi può essere decisivo perché magari è arrivata prima la pratica di una o più imprese pulite fuori ma sporchissime dentro.
Questo, il succo di quanto scoperto dai finanzieri del comando provinciale (diretti dal colonnello Danilo Massimo Cardone e coordinati dal tenente colonnello Selvaggio Sarri) nel coadiuvare i colleghi delle fiamme gialle milanesi nel blitz con cui all’alba di martedì mattina si sono presentati alla porta di casa di un imprenditore trentenne magionese, che di fatto dal 2017 risulterebbe titolare di almeno quattro ditte milanesi. Una titolarità che, secondo gli investigatori, appare essere decisamente di facciata. Un prestanome, insomma, messo dalla ‘ndrina milanese smantellata dalla Dda di Milano e considerata vicina agli ambienti della criminalità crotonese di Cutro a dirigere quelle aziende proprio per andare a chiedere prestiti alle banche.

L’ALLERTA LANCIATA 
DA VIMINALE E SERVIZI SEGRETI 


Un “giochino” che si alimenta della inevitabile produzione di fatture false per dimostrare come le aziende siano in piena attività e formalmente sane e che ha avuto un’impennata subito dopo la fine del lockdown. Esattamente quanto era stato previsto dal ministero dell’Interno e dai servizi segreti, che già nel periodo della pandemia avevano lanciato l’allarme per una possibile irruzione in grande stile della criminalità organizzata nel tessuto di un’ecomomia legale agonizzante dopo mesi di stop imposto dal coronavirus. Un ingresso con i capitali dei traffici illeciti ma anche con strutture evidentemente già rodate per andare a chiedere soldi a Stato e banche.

Esattamente quanto si sarebbe rivelato agli occhi degli investigatori delle fiamme gialle. Accuse che ovviamente devono essere tutte dimostrate, non solo per le otto persone finite in carcere e ai domiciliari ma anche per il giovane imprenditore magionese che risulta tra i 27 indagati complessivi dell’indagine.
Nelle quasi duecento pagine di ordinanza, gli investigatori hanno ricostruito movimenti e truffe tentate e andate a segno ai danni degli istituti di credito attraverso queste società che il gruppo di fatto gestiva con l’utilizzo di prestanome. «A partire dall’11 giugno 2020» si legge nelle carte, il magionese si attivava assieme a uno di coloro che sono considerati capi dell’organizzazione «presso almeno tre Istituti di credito (Monte Paschi di Siena, BPM e Deutsche Bank) per ottenere i contributi stanziati dal Governo a sostegno dell’attivita imprenditoriale attraverso l’adozione di misure urgenti in materia di accesso al credito» e con riferimento a quattro società di cui il magionese «è titolare al 100% delle quote, società attualmente utilizzate illecitamente». 
Ma c’è di più. Perché secondo quanto trapela dalle maglie di un’indagine blindata, sarebbero emersi collegamenti tra questo gruppo e quello perugino smantellato dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, e dalla squadra mobile e per i quali attualmente è in corso l’udienza preliminare nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia. Collegamenti di vicinanza territoriale con le «case madre» di origine ma anche sotto il profilo delle truffe alle banche.
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