Sono passati 35 anni, ma l’episodio del disastro nucleare di Chernobyl, un fatto storico di grande impatto, è rimasto indelebile nella memoria di tutti.
«L’organizzazione risale al 1991, quando, dopo Chernobyl, abbiamo organizzato l’accoglienza di un primo gruppetto di bambini per il 1992, a Cospea, proprio attorno alla parrocchia di San Giuseppe Lavoratore» racconta Pacifici. «18 famiglie si sono rese immediatamente disponibili, e quando una trasmissione di Rai 1 ha raccontato la nostra storia sono arrivate telefonate da tutta Italia: non ci siamo più fermati. Dopo 30 anni possiamo dire di aver salvato più di 100.000 bambini, perché sono stati ospitati, ma non solo, sono anche stati sostenuti quando tornavano in Bielorussia; sono stati curati da malattie come leucemia, tumori al cervello, fibrosi cistica. Molti ci sono morti tra le braccia. Ci siamo impegnati anche con aiuti umanitari e con la costruzione e la ricostruzione di orfanotrofi e ospedali. Qualche mese fa abbiamo inviato aiuti per il Covid, dato che, per ovvi motivi, si è dovuta interrompere l’ospitalità» conclude. Del resto, i numeri parlano chiaro: la media di bambini ospitati all’anno è di circa 1500 persone, mentre in totale le famiglie ospitanti sono state più di 33mila. L’opera della Ong, dunque, procede anche oggi, superando le difficoltà della pandemia e anche della tesa situazione politica bielorussa: «La nostra opera è riconosciuta dalla Bielorussia, e siamo sempre i benvenuti. Ciò che abbiamo fatto non viene dimenticato: molti di coloro che abbiamo aiutato oggi sono adulti con l’Italia nel cuore, e i rapporti sono ancora vivi» precisa Pacifici.