Termoscanner e divisori: i ristoratori a caccia di soluzione per ripartire

Domenica 19 Aprile 2020 di Lorenzo Pulcioni e Vanna Ugolini
Striscione con arcobaleno davanti a un ristorante chiuso

«Il plexiglas nei tavoli? E' come la carbonara che arriva dopo venti minuti con il motorino», dice Federico Li Gobbi, titolare de La Piazzetta. I ristoranti si preparano alla Fase 2 ma a certe condizioni potrebbe essere il colpo di grazia. I graziosi tavoli all'aperto tra le vie del centro potrebbero essere letteralmente stravolti: «Divisori o protezioni in plexiglas sarebbero un ulteriore investimento sulle nostre spalle - dice Simone Terzino de L'Angolo di Vino - dopo quasi due mesi di inattività e nessuna certezza sui contributi economici che tardano ad arrivare. E' importante ripartire ma è tutto imprevedibile e complicato». C'è anche chi valuta l'ipotesi: «Stiamo pensando al plexiglas - dice Chiara Proietti di Mio Bio - il locale è grande e distanziare i tavoli non è un problema. Ma mentre dividere chi non fa parte dello stesso nucleo familiare avrebbe senso, farlo con chi vive sotto lo stesso tetto sarebbe una sciocchezza».
Tavoli distanziati vuol dire diminuire i clienti, con ricadute su costi e personale. Una soluzione da fantascienza. «Impossibile adeguare sala e cucina - dice Simone Bernardi de Lu Postaccio - inoltre come può mantenere la distanza il cameriere o il personale di cucina? E come si dovrebbe fare ad usufruire del bagno?» si chiede. «Non posso mica fare una camera iperbarica» rilancia il titolare della Piazzetta parlando dello stesso argomento. Se mascherina, guanti e plexiglass non sono soluzioni, è anche vero anche che rimanere chiusi sarebbe insostenibile. Un piccolo locale costa 130 euro al giorno di spese vive tra personale e costi fissi. «Serve un intervento di sostegno economico forte su bollette, affitti, costo del personale, occupazione del suolo pubblico - dice Mirko Zitti vicepresidente Confcommercio e presidente Fipe - altrimenti riaprire così non ha senso, meglio aspettare che ci siano le condizioni». Gli operatori del settore ne stanno sentendo di tutti i colori: dall'autodichiarazione da far firmare al cliente che dice di stare in salute, alla misurazione della temperatura con il termoscanner e di altri parametri biologici: «Il plexiglass sui tavoli o in spiaggia è un argomento da bar. Va in controtendenza rispetto alla socialità e la convivialità tipica della ristorazione. C'è un aspetto negativo di carattere psicologico oltre che economico. Tavoli al chiuso o all'aperto cambia poco» aggiunge Zitti. Qualcuno nel frattempo si è arrangiato con le consegne a domicilio: «I nostri dipendenti sono in cassa integrazione - dice la titolare di Mio Bio - io e mio marito ci siamo arrangiati con le consegne.

I sistemi di delivery hanno provvigioni elevate, facciamo tutto da soli». La Piazzetta non ha fatto consegne ma per pochi giorni il servizio d'asporto: «Per il nostro tipo di offerta non è sostenibile. La ristorazione non è sfamarsi. E' convivialità, accoglienza, il vino giusto per il piatto giusto. Nei panni dello sceriffo che misura la temperatura ai clienti non mi ci vedo proprio».

Ultimo aggiornamento: 10:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA