«In famiglia tutti positivi, abbandonati in casa per un mese. Ad aiutarci solo due vicini ottantenni»

Mercoledì 4 Novembre 2020 di Egle Priolo
«In famiglia tutti positivi, abbandonati in casa per un mese. Ad aiutarci solo due vicini ottantenni»

PERUGIA - «Appestati, reietti, abbandonati per un mese: così ci siamo sentiti.

Soli, senza mai nemmeno una telefonata o un medico che venisse a visitarci. Quattro persone in casa e tutte positive al coronavirus. Chi ci ha aiutato? Solo due quasi ottantenni, esattamente quelli che qualcuno giudica inutili e improduttivi». È un fiume in piena Cecilia, arrabbiata, delusa. Che solo adesso che la sua famiglia è guarita decide di raccontare cosa è stato il virus per loro: «Abbandono. Totale».

In casa sono lei e suo marito, poco più che quarantenni, e i due bambini di 6 e 9 anni. La loro storia inizia il 21 settembre, quando al più piccolo viene un po' di febbre. Niente di che, tanto che anche il pediatra pensa a una semplice influenza. Cecilia però non lo manda a scuola. «Era il periodo delle elezioni, la scuola era stata aperta solo una settimana quindi eravamo tutti convinti fosse stata solo influenza – sottolinea Cecilia -. Nel frattempo, però, la febbre viene anche a noi tre, con un po' di mal di testa, ma io perdo gusto e olfatto e mi sento sempre spossata. Per il medico è ancora influenza e non ci preoccupiamo. Finché la domenica scopriamo che la classe del bambino è in quarantena: chiamiamo subito la guardia medica, che attiva i controlli e in effetti il martedì successivo, il 29, ci fanno il tampone. Tutti positivi, con la certezza che nostro figlio sia stato infettato in quell'unica settimana di scuola».
«Da lì è partito quell'incubo di solitudine e abbandono - denuncia Cecilia -. Pure con la spazzatura in casa per due settimane perché nessun operatore poteva venire a ritirarla. Ma soprattutto senza un medico che ci venisse a visitare, senza mai riuscire a parlare con la Asl per avere informazioni anche banali e il medico dell'Usca, che soltanto grazie a un dottore volenteroso che ha preso a cuore il nostro caso contattando il professionista a cui sulla carta saremmo stati affidati, che ci ha chiamato solo per parlare di una mia terapia, dicendo che avrebbe dovuto chiamare il nostro medico di base e invece non l'abbiamo mai più sentito». Con un'aggravante, secondo Cecilia. «Io sono leggermente ipertesa – spiega – faccio una terapia per questo e in quei giorni, oltre a tutto il resto, ho avuto due crisi, tra vomito e battito cardiaco a 130. Mi è tornato il mal di testa e pure la febbre e l'unico che ci ha dato udienza è stato quel dottore della guardia medica. Per il resto, ci siamo dovuti attrezzare da soli. Curandoci con tachipirina, misurando in continuazione la saturazione, senza mai riuscire a capire cosa fare. Quando sono stata male durante la notte, il 118 mi ha detto che dovevo decidere io se ricoverarmi o meno, perché nessuno mi avrebbe potuto visitare. Intanto sono passati i giorni e il 14 ottobre siamo risultati negativi, ma in quei giorni non si capiva se bastasse un tampone o ne servissero due, come confermato dall'operatrice del numero verde. Impossibile saperlo perché all'Asl non rispondeva mai nessuno. Fino al 19 siamo rimasti in un limbo: il medico di base, tramite l'accesso ai sistemi sanitari, ha visto che sul nostro nome c'era finalmente il bollino azzurro e non più quello rosso, ma avvisandoci che avremmo dovuto aspettare una mail dalla Asl. Che non è mai arrivata e abbiamo dovuto aspettare il 21 finché il medico del lavoro dell'azienda di mio marito ci ha detto che lui poteva rientrare in ufficio, perché risultava “liberato”. Il 21, esattamente un mese dalla prima febbre di nostro figlio, senza mai una visita, un controllo e una telefonata. Eppure sappiamo che tanti nostri amici, negativi o in isolamento sono stati chiamati praticamente tutti i giorni. E allora mi chiedo: se hai poche risorse, perché non le usi per i malati conclamati? Perché chiamare i negativi e non chi sta male?».

Magari quella di Cecilia e la sua famiglia è stata una sfortuna, un buco nel sistema, ma di certo quel mese è stato durissimo. «Siamo andati avanti solo perché siamo abbastanza giovani da aver potuto sfruttare internet per gli acquisti alimentari – conclude -, ma in realtà le uniche persone che ci hanno davvero aiutato sono state un 76enne e un 78enne che vivono nel nostro condominio, che uscivano per farci la spesa quando qualcosa come latte e pane non arrivava. Ci hanno anche anticipato i soldi, per paura di prendere qualcosa dalle nostre mani, poi bussando e lasciandoci le buste fuori dalla porta. Sono i più a rischio, c'è chi li ritiene inutili e invece sono stati i nostri unici angeli».

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