PERUGIA - «Mi ricordo di te.
E Valentina Baioletti, insegnante, in occasione dell'inizio dell'anno scolastico che non ha visto il suo Ale tornare sui banchi, ha scritto una lettera indirizzata alla scuola del figlio ma rivolta a tutti. Per chiedere maggiore attenzione per i ragazzi. Per tutti. Non solo quelli bravi, soprattutto dopo una pandemia che ha disintegrato ogni certezza mentre i giovani se la stavano costruendo.
«So che, anche tra mille difficoltà, Alessandro sarebbe riuscito a realizzare la sua grande passione: diventare un grafico. Era un ragazzo intelligente e buono, anche troppo a volte. Ma la scuola non è stata sua alleata nella sua piccola vita. Aveva voglia di diventare grande, di guidare ed essere autonomo, di condividere le prime esperienze di vita con i suoi veri amici. Avrebbe dato tutto quello che aveva se un amico glielo avesse chiesto. Senza pensarci nemmeno un attimo. Sono un'insegnante e ho provato, almeno un milione di volte, a spiegargli il valore educativo e formativo della scuola. Ma lui, con la sua parlantina e un'insolita grinta, sosteneva che non era così. Alessandro era un ragazzo ipoacusico, indossava le protesi dall'età di 9 anni». «Purtroppo – continua Valentina – la scuola di cui lui ha avuto esperienza in questi due anni, non era la scuola di cui io gli parlavo. La relazione con gli altri, adulti o coetanei che siano, si instaura in presenza. Ed è fondamentale a qualsiasi età. La frequentazione, il contatto quotidiano, la condivisione e la rielaborazione di esperienze vissute insieme, sono tutti eventi di cui il mio Ale non conosce, né mai conoscerà, l'esistenza. La mascherina e la Dad lo avevano chiuso ancora di più nel suo mondo». «Forse anch'io – prosegue – sono stata troppo dura con lui. Nei suoi ultimi mesi mi sono preoccupata soltanto della sua bocciatura. Non gli ho mai chiesto come si sentisse. E credo che non genitori, noi insegnanti, dovremmo chiederlo sempre a questi ragazzi. Partire proprio da lì. Da come si sentono, da quello che provano, dai loro sogni. Con questa lettera vorrei dire, vorrei chiedere, per Alessandro, esattamente questo al corpo docente, precario e di ruolo, alle mamme e ai papà. Partite da lì, da quello che i ragazzi provano, da come hanno vissuto la pandemia, l'isolamento, l'impossibilità di vedersi e di starsi vicino fisicamente. E partite (partiamo) da quello che hanno acquisito in questi lunghissimi 18 mesi di Covid, non da quello che gli manca. Sono profondamente sensibili, pieni di risorse e resilienti. Ma non hanno ancora strumenti e contenuti per la vita. Siamo noi che dobbiamo prepararli alla vita, non solo al mondo del lavoro. Dobbiamo prenderci cura di loro. Non solo di quelli bravi. I bravi lo sono a prescindere. Io ho capito la grande passione mio figlio, la sua bravura e la sua esilarante ironia solo quando lui è morto, attraverso quello che mi ha lasciato: i video, le foto e le cose che ha scritto e prodotto. Voi siete ancora in tempo. Èd è un bene. Ed è anche una grandissima fatica. Non arrendetevi». Firmato, “La mamma di Ale”.