Nell'anno del Covid in Umbria meno morti sul lavoro

Martedì 11 Maggio 2021
Nell'anno del Covid in Umbria meno morti sul lavoro

«Dopo il lockdown a causa del Covid riparte il lavoro ma parallelamente ripartono anche le morti bianche e gli infortuni denunciati sono sempre più gravi».

A dirlo, dati alla mano, Gianni Fiorucci, responsabile infortuni sul lavoro di Cgil Umbria. «Se da una parte i dati di Inail ci dicono che – continua Fiorucci - c’è una diminuzione degli infortuni, dobbiamo anche considerare che c’è un aumento di cassa integrazione e quindi meno lavoratori». Nel 2020 le denunce sul lavoro sono a 7.880, meno rispetto alle 10.532 del 2019. Ancora più nel dettaglio, la provincia di Perugia è passata da 8.374 a 6.246 l’anno scorso (-25,4%), in quella di Terni si è scesi da 2.160 a 1.634 (-24,4%). Nell’anno della pandemia in Umbria calano di oltre un terzo le morti bianche, che in totale sono 11, e gli infortuni sul lavoro. Come a dire che se si ferma il mondo del lavoro è comprensibile rallentino anche gli incidenti. Dati differenti se si confrontano i numeri tra Perugia e Terni: la prima passa da 12 morti nel 2019 ai 9 del 2020 (-25%), mentre Terni scende da 5 a 2 morti bianche (-60%).  La fotografia dipinge l’Umbria in controtendenza rispetto alle altre regioni sui dati Inail. Nell’ultima settimana in Italia c’è stata una strage sul lavoro dove si contano dodici vittime, due di queste, sono Samuel ed Elisabetta, morti nell’incidente di Gubbio. Se in Italia le denunce complessive di infortuni mortali sono state 1270 (una media di tre decessi al giorno) l’Umbria 

INFORTUNI DA COVID

Nel 2020 sono calate del 25,1% le denunce per infortunio sul lavoro registrate dall’Inail. Sono 10.534 le denunce registrate di infortuni sul lavoro, mentre nel 2020 queste scendono a 7.880. Ancora più nel dettaglio, la provincia di Perugia è passata da 8.374 a 6.246 (-25,4%), in quella di Terni si è scesi da 2.160 a 1.634 (-24,4%). Tra i dati interessanti anche quali sono i periodi di maggiore concentrazione delle denunce per Covid in Umbria risultano i mesi di marzo, ottobre e novembre. Da aprile a settembre la curva dei contagi nella regione si è azzerata per poi, invece, tornare a salire. Il 63,4% degli infortuni ha interessato le donne, il restante 36,6% uomini.  Ancora sempre in materia di infortuni legati al Covid: il 71,8 % delle denunce si registri nel capoluogo. Per quanto riguarda i settori, il 62,9 % dei casi ha toccato la sanità e dell’assistenza sociale, l’11% dai trasporti, il 9% dei casi dal manifatturiero, il 3,7% dal commercio. Ancora più nel dettaglio: nel 37,9% dei casi si tratta di tecnici della salute, nel 14% di medici, 12,7% professionisti qualificati nei servizi sanitari e sociali, 5,5% impiegati e segretari, 2,8% personale qualificato della scuola.

IL FUTURO

Questi sono segnali evidenti che nonostante il Covid si continua a morire di lavoro, anzi in proporzione si muore di più. «La ripresa produttiva che avverrà nei prossimi giorni rischia di determinare ulteriori peggioramenti – continua Gianni Fiorucci dalla Cgil Umbria che vigilia sul settore degli infortuni sul lavoro - . Dobbiamo far si che da una parte la transizione energetica e dall’altra quella digitale producano effetti positivi nel modello di sviluppo economico, puntando su un lavoro di qualità e con maggiore sicurezze. Questo non solo determina un costo sociale inaccettabile in termini di perdita di vite umane, ma non ci permetterà di traguardate un modello sostenibile nel futuro, elemento necessario per vincere la sfida lanciata dall’Europa denominata Next Generation Eu. Qual è il costo di queste vite che si spezzano?»

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