Morta di parto, il procuratore
Alberto Liguori riapre il caso
dopo l'assoluzione dei medici

Domenica 27 Giugno 2021 di Nicoletta Gigli
Morta di parto, il procuratore Alberto Liguori riapre il caso dopo l'assoluzione dei medici

TERNI Il ricorso in appello l’ha depositato in queste ore il procuratore, Alberto Liguori. Che, vista la delicatezza della vicenda, ritiene fondamentale il vaglio di un secondo giudice per far luce sulle responsabilità per la morte di Silvia Barcherini. L’insegnante amerina, 38 anni, se ne andò ad agosto di quattro anni fa ad una settimana di distanza dal parto cesareo. Quel bimbo tanto atteso, il suo primo figlio, Silvia non l’ha mai potuto conoscere. Per il decesso della neomamma, che a distanza di poche ore dal parto fu colpita da emorragia interna, erano finiti a giudizio due ginecologi dell’azienda ospedaliera “Santa Maria”, quelli che avevano praticato il cesareo. Per entrambi un’accusa di omicidio colposo. Il processo di primo grado, svolto con il contributo di diversi periti nominati dalla procura e dal giudice e dalla difesa degli indagati, si è chiuso il 10 aprile con la sentenza del giudice, Massimo Zanetti. Che, nel valorizzare solo la perizia chiesta dai legali degli imputati, ha assolto con formula piena i due professionisti. Una sentenza che la parte civile per legge non poteva impugnare e che ora, su impulso del procuratore capo, Liguori, finisce al vaglio della corte d’appello di Perugia. Per i consulenti incaricati dalla procura di far luce sulle cause del decesso, che ipotizzavano l’esistenza di un aneurisma dell’arteria splenica, c’era stata negligenza da parte dei medici. Diversa la lettura dei consulenti nominati dalla difesa. Secondo cui non c’era evidenza dell’aneurisma, mentre le cause del decesso andavano ricercate in una patologia diversa, probabilmente un’emorragia cerebrale. Sull’assoluzione dei due medici, decisa dopo che tutte le perizie convergevano per la responsabilità dei due professionisti imputati, è il procuratore Alberto Liguori a chiedere il vaglio dei giudici d’appello. 
L’indagine penale partì poche ore dopo il decesso di Silvia, quando i poliziotti della squadra mobile si presentarono in ospedale con in mano la delega della procura.

L’ufficio denunce della questura aveva ricevuto l’esposto della famiglia di Silvia, pronta ad accogliere con infinito amore il suo primo figlio. Su disposizione del pm, Raffaele Iannella, gli agenti della Mobile sequestrarono la cartella clinica della giovane mamma. Carte che poi furono rimesse alla Digos per un fascicolo che all’inizio era senza ipotesi di reato e senza indagati, aperto su impulso di familiari che, senza più lacrime, chiedevano di far luce sulla tragedia. L’obiettivo era solo quello di chiarire le cause della morte della giovane mamma, andata via nel momento in cui doveva esserci spazio solo per la gioia di una nuova vita. In quei giorni l’ospedale fece sapere che “la donna, a distanza di 12 ore dal parto” aveva avuto uno “shock da emorragia diffusa multiorgano, non uterina ma retroperitoneale, che ha richiesto l’intervento dell’equipe di chirurgia generale. La donna non si è ripresa ed è stata ricoverata in gravi condizioni nel reparto di rianimazione, dove poi è deceduta. Apparentemente l’emorragia sopraggiunta il giorno dopo il parto - precisarono dall’ospedale - non ha nulla a che vedere con il cesareo, ma solo l’autopsia potrà fornire ulteriori elementi per chiarire le cause che hanno determinato il decesso”.

Ultimo aggiornamento: 10:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA