Gli affari in Umbria dei Messina Denaro padre e figlio, due quadri in cambio di un trattamento migliore in carcere

Martedì 17 Gennaio 2023 di Alvaro Fiorucci
Matteo Messina Denaro

PERUGIA Matteo Messina Denaro ha ereditato dal padre Francesco non solo la spietatezza del capobastone , la capacità di essere a lungo imprendibile, ma anche una certa passione per gli oggetti antichi e per le opere d’arte.

Una passione, non proprio a fin di bene, che ha generato storie singolari delle quali alcuni capitoli sono stati scritti in Umbria. Fatti di un passato lontano che non hanno perso però la capacità di rappresentare un’epopea mafiosa, finita forse proprio con la cattura degli stragisti corleonesi. L’anziano, morto d’infarto nel 1998 dopo una latitanza di otto anni, protagonista di una faccenda di riciclaggio di reperti archeologi; il giovane, invece, interessato a barattare un 41 bis alleggerito con la restituzione dei quadri rubati di una collezione intera. Notte tra il 30 e il 31 ottobre 1962: Francesco Messina Denaro è in possesso l’Efebo di Selinunte, una statua del 480 avanti Cristo, trafugata dal comune di Castelvetrano. Francesco ha 34 anni ed è in piena scalata ai vertici del suo mandamento, Matteo è appena nato. La famiglia discute della destinazione da dare al prezioso reperto archeologico: tenerselo? Chiedere un riscatto? Venderlo? Alla fine, la decisione è quella di trovare un ricettatore di fiducia. Lo cercano, pare a New York, poi in Svizzera , ma la scultura deve rientrare frettolosamente in Sicilia perché c’è chi si è messo sulle sue tracce. Amici compiacenti la nascondono a Gibellina. Dove rimane per sei anni. Fino a quando Messina Denaro , crede di aver trovato un compratore a Foligno. È convinto che l’affare è a portata di mano. Invece è una trappola preparata dall’agente segreto Rodolfo Siviero che oltre ad essere un ministro plenipotenziario è anche un critico d’arte. Con lui il questore di Agrigento Ugo Macera e un antiquario folignate Giuseppe Fongoli. L’antiquario si finge ricettatore per l’amico Siviero. Il prezzo pattuito è di 30 milioni di lire. Gli emissari del boss arrivano in ritardo. I poliziotti, oltre al questore ci sono altri quattro agenti che stanno nascosti in una casa presa in affitto in via Scarpelli che è ad un passo dal negozio di Giuseppe Fongoli un giorno in più. Non mollano .Infatti i mafiosi, una batteria di 5 elementi , arrivano il giorno dopo. Con l’Efebo in una valigetta vanno dall’antiquario. L’antiquario controlla e poi si toglie il cappello. ' il segnale: dall’armadio escono i segugi ministeriali, c’è una sparatoria. Due malavitosi sono arrestati per gli altri parte la caccia all’uomo a colpi di pistola tra la gente. L’Efebo è salvo, torna al museo. Una ventina d’anni dopo è ancora l’arte a dare vita ad una triangolazione tra un giovane residente a Foligno , un detenuto speciale Antonino Gioè e Matteo Messina Denaro. Il giovane di Foligno si fa chiamare Roberto Da Silva, dice di essere brasiliano, commerciante di antichità di pregio. È finito in carcere perché l’hanno beccato , il 16 febbraio 1981 , durante un’operazione contro i ladri d’arte. In realtà l’uomo non si chiama come è scritto nei suoi documenti falsi. È un terrorista nero, Paolo Bellini, recentemente condannato, primo grado, all’ergastolo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ma sotto falso nome e protetto dai servizi segreti, ha vissuto e risiederà a lungo a Foligno. Pare che Paolo Bellini abbia offerto ad Antonino Gioè una mediazione per un affare che stava a cuore a Matteo Messina Denaro . La restituzione allo Stato delle opere d’arte rapinate al museo di Modena- tra le quali lavori di Velazquez e Correggio- dagli uomini di “U siccu” in cambio di un allentamento delle restrizioni del 41 bis. Non si è mai saputo se il latitante imprendibile abbia saputo. Antonino Gioè , coinvolto nella strage di Capaci, si è suicidato in carcere nella notte tra il 28 e il 29 luglio 1993. Storie di altri tempi. Forse. “ Con l’arresto di Matteo Messina Denaro , a differenza del passato, non ci sono più grandi nomi come obiettivi tra i latitanti di mafia. Vuol dire che lo Stato ha operato bene-ha dichiarato il procuratore della repubblica di Perugia Raffaele Cantone. Che aggiunge:” anche chi sembrava imprendibile non lo è. Ma non bisogna comunque abbassare la guardia perché la mafia ha dimostrato di avere la capacità di rigenerarsi anche per quanto riguarda i suoi capi”.”. Il procuratore sottolinea che la cattura è avvenuta a Palermo e che :” questo accade perché le organizzazioni mafiose trovano consenso e complicità sul territorio”. Emanuele Prisco (FdI) è il sottosegretario all'Interno : “sono fiero di quelle persone che hanno dedicato la propria vita alla caccia dei latitanti”, Rivolto un pensiero alle vittime della mafia, in particolare “ ai servitori dello stato che sono caduti in questa guerra” aggiunge : è un grande successo, ma bisogna proseguire al fianco di magistrati, e forze dell’ordine la lotta senza quartiere alla criminalità organizzata, Sono particolarmente orgoglioso, che il primo provvedimento del governo abbia riguardato la difesa del carcere ostativo , istituto voluto da Falcone e Borsellino”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA