L'epidemiologa Bietta: «Varianti più diffuse per le bugie. Arginate nonostante la reticenza della popolazione»

Martedì 8 Giugno 2021 di Fabio Nucci
L'epidemiologa Carla Bietta

PERUGIA - Il ridotto rischio di contagio è una realtà e come un anno fa è l’avvicinarsi dell’estate a segnare la ritirata del virus. Rispetto ad allora c’è però un’arma in più. L’importanza del vaccino è un alleato potente nella lotta al SarsCov2, lo ricorda Carla Bietta, responsabile dell’unità di Epidemiologia della Usl Umbria 1 e componente del Nucleo epidemiologico regionale, che richiama tuttavia l’attenzione sulla necessità di continuare a rispettare le regole. A partire dalla mascherina grazie alla quale lo scorso inverno sono quasi scomparsi influenza, tosse e raffreddore.
Dottoressa Bietta, l’Umbria da lunedì è in zona bianca, che valutazioni si possono fare?
«La situazione è in continuo miglioramento, sono fortemente calati i decessi e continuano a diminuire i ricoveri, specie quelli in terapia intensiva. Ci sono una serie di fattori che contribuiscono ad una minor diffusione del virus: l’aumento delle temperature, ad esempio, è un ottimo alleato; le persone si incontrano maggiormente all’aperto e tutto questo favorisce il minor rischio di contagio. Ma oltre a questo ora abbiamo il vaccino, una grandissima opportunità per uscirne, e la popolazione che si è prenotata (196.104 alle 8 di ieri, ndr) e vaccinata (401.472 prime dosi somministrate, 184.176 vaccinati con ciclo completo, ndr) è numerosa».
Possiamo considerare la zona bianca come un “liberi tutti”?
«Non voglio dire che siamo fuori del tutto, ma la direzione è quella giusta. Certo, le regole ci sono non per rendere ulteriormente difficile la nostra vita: hanno un fondamento scientifico e finché servono continueranno ad esserci. Così come noi continueremo a monitorare attentamente: costante analisi dei dati con elevato livello di dettaglio, sorveglianza, inchieste epidemiologiche. Una minore numerosità di casi ne permette una gestione più mirata, anche in situazioni in cui si percepisce reticenza, per superare la quale è sempre più forte la sinergia tra le diverse istituzioni anche per strategie e approfondimenti diagnostici. E con un tasso di incidenza settimanale inferiore a 50 casi per 100mila abitanti si è in grado di gestire il tutto meglio e in modo più efficace».
Nessun rischio di altre ondate?
«Adesso andiamo incontro a una situazione favorevole, c’è un rischio inferiore e in più siamo vaccinati. Il distanziamento e l’uso mascherine, inoltre, ci hanno aiutato notevolmente: lo scorso inverno non c’è stata la solita ondata di influenza, tosse o raffreddore. Seguire le indicazioni serve».
Servirà un’altra dose a chi ha completato il ciclo?
«Sono aspetti in fase di studio, saranno i virologi a definire la strategia della vaccinazione. Intanto, speriamo che l’autunno trovi una quota elevata di popolazione immunizzata visto che la vaccinazione ora è aperta anche ai più giovani: tutto va in direzione di un’uscita da un periodo molto impegnativo per tutti».
A causa delle varianti…
«Sì, alla loro elevata contagiosità e al conseguente maggior numero di ricoveri, è come se tutto fosse stato amplificato. Alcuni cluster ospedalieri hanno complicato la situazione in un momento in cui la vaccinazione era ancora in fase iniziale: la sanità ha dovuto formulare ipotesi e individuare strategie, dare risposte in un momento in cui l’Umbria si è trovava per prima di fronte alle varianti, quella brasiliana in particolare: è stata una fase molto impegnativa, ma che ci ha trovato all’altezza della situazione tanto da essere per alcuni aspetti di esempio. E ora siamo tra le 7 regioni in zona bianca, un gran risultato».
Come c’è arrivata la variante brasiliana?
«Sono state fatte molte ipotesi, ma la dinamica precisa non è nota: ma è stata arginata. Il contact tracing, le chiusure territoriali mirate hanno funzionato, nonostante la reticenza della popolazione: mentre prima le persone aspettavano la nostra telefonata, poi hanno risposto e collaborato meno».
Come spiega questo atteggiamento?
«C’era una minore percezione del rischio visto che nella terza ondata il virus ha colpito fasce d’età più giovani.

Questo ha portato a una sottovalutazione del fenomeno. Un po’ ha pesato la stanchezza che ha fiaccato tutti, un po’ la voglia di accelerare la ripresa delle attività. Tutto questo ha facilitato il contagio e indebolito l’efficacia del tracciamento nel recuperare tutti i contatti. Ma sono elementi riscontrabili ovunque a livello nazionale. Di diverso abbiamo avuto solo le varianti ma abbiamo reagito con strategie mirate: le due province con colori diversi, lo sforzo della sanità, la vicinanza tra le istituzioni».

© RIPRODUZIONE RISERVATA